Categoria: Gela
Portella della Ginestra, la strage del Primo maggio

SANGUE ROSSO – 1° Maggio a Portella delle Ginestre opera di Dino Vaccaro
Un nome primaverile che evoca un giorno di morte. Il Primo maggio del 1947 una folla di lavoratori, donne, bambini e anziani – riuniti a Portella della Ginestra, in Sicilia – fu bersagliata dalle raffiche di mitra della banda di Salvatore Giuliano. Nell’area tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, molti si erano ritrovati per festeggiare la vittoria elettorale del «Blocco del Popolo» (l’alleanza tra socialisti e comunisti) alle elezioni regionali del 20 aprile (qui il racconto di Egisto Corradi dall’Archivio del Corriere), altri per ascoltare il discorso di alcuni dirigenti del Pci in occasione della Festa dei lavoratori. La prima che si tornava a festeggiare in quella data, dopo essere stata spostata dal regime fascista al 21 aprile (il «Natale di Roma»). Furono undici le persone uccise sul colpo, più di sessanta i feriti. Ad appoggiare Giuliano erano poteri mafiosi, frange dell’autonomismo siciliano e forze che intendevano garantire il perpetuarsi degli equilibri di potere anche nel nuovo quadro istituzionale e politico del Dopoguerra, e intimidire le masse contadine che reclamavano la terra (qui la prefazione di Ferruccio de Bortoli alla riedizione del libro di Tommaso Besozzi «La vera storia del bandito Giuliano»).

Portella, opera di Ettore Coinciliis
«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari», ha raccontato nel 2017, in occasione del 70esimo anniversario dell’eccidio, Serafino Petta, l’ultimo sopravvissuto. «Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, «i mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», ha ricordato ancora Petta. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».
Una strage ancora oggi senza mandanti: proprio in occasione dei 70 anni dell’eccidio, l’allora presidente del Senato, Pietro Grasso, chiese di rendere pubblici i documenti ancora non accessibili e accertare le responsabilità di una tragedia che ha segnato la stagione delle lotte per la terra e, più in generale, la crisi politica, sociale e dell’ordine pubblico del Dopoguerra (qui il commento di Paolo Mieli). Sulla base di nuove acquisizioni documentali nel dicembre 2004 i familiari delle vittime hanno chiesto la riapertura dell’inchiesta. Per Portella, come per altre stragi che hanno insanguinato l’Italia, la verità è ancora lontana.
Fonte: 1 MAGGIO 2019 | di Silvia Morosi e Paolo Rastelli | @MorosiSilvia @paolo_rastelli
I partigiani a Favara e l’impegno politico- culturale.
L’intervista a Pasquale Cucchiara è un viaggio nella storia del nostro paese, che si lega alle speranze e alle lotte che sono avvenute prima di raggiungere la libertà e l’uguaglianza fra i cittadini.
Pasquale Cucchiara è nato ad Agrigento nel 1986. Si è laureato presso l’università degli studi di Palermo in Scienze Pedagogiche ed ha pubblicato “Altri uomini – storie di antifascisti e partigiani favaresi (2015) e Salvatore Bosco – il filosofo del popolo (ed. Medinova 2019).
Oggi lavora su una ricerca storica incentrata sullo sbarco degli americani in Sicilia e in particolare a Favara.
Ha fondato il circolo culturale LiberArci e attualmente è nel direttivo provinciale del territoriale di Agrigento.
Quando nasce in te la passione per la storia?
La mia passione per la storia nasce a scuola. Molti docenti hanno avuto un’influenza decisiva nella mia formazione fra questi segnalo con piacere il Professore Giuseppe Alonge.
Tu hai scritto un libro dal titolo: Gli altri uomini. Qual è il messaggio di questo lavoro?
Con la pubblicazione di “Altri Uomini” ho voluto storicizzare Favara nella Resistenza. Ho fatto diverse presentazioni nelle scuole di Favara e all’università Kore di Enna e ti posso assicurare che i ragazzi hanno compreso l’obiettivo: la Resistenza va studiata come fenomeno sociale. Inoltre, questo e altri lavori similari, dimostrano che anche i meridionali contribuirono in questo processo di liberazione nazionale. Il messaggio di questo umile lavoro è stato amplificato dal fatto che ho avuto la possibilità di presentarlo nella sala stampa della Camera dei deputati e che l’amministrazione comunale precedente ha avuto la sensibilità di farne una stele dedicata a questi uomini e a queste donne.
Dove hai trovato le notizie che riguardano gli antifascisti e i partigiani favaresi?
E’ stato un lavoro molto faticoso perché ho contattato tutte le segreterie regionali dell’ANPI, molti istituti storici per la Resistenza e per l’età contemporanea, l’Istituto Gramsci di Palermo, biblioteche fondazioni, fino alle fonti orali. Questa ricerca capillare mi ha permesso di intercettare partigiani favaresi in tutte le regioni del Centro-Nord Italia.
Chi sono i partigiani favaresi?
Non esistono eroi costruiti ma gente che, nel momento più importante e decisivo per la nostra patria, mise in gioco la propria vita. Il fascismo aveva abituato il popolo solo ad ubbidire, mentre ora, avevano la possibilità di scegliere liberamente se partecipare o meno alla Resistenza. Le formazioni partigiane hanno avuto una chiara connotazione politica anche perché al loro interno operavano dei commissari politici. Fra i 26 partigiani, mi piace ricordare le storie di Michele Imbergamo e Calogero Pullara proprio per la loro diversità politica. Michele Imbergamo, nato il 23/02/1891 a Favara, entrò nella Resistenza tramite un prete e operò quale responsabile militare della DC per la provincia di Bologna e fu uno dei protagonisti della liberazione della città.
Calogero Pullara, nato il 24/10/1903 a Favara, fu il capitano della brigata “Bandiera Rossa” operante a Roma. In dissidenza con il PCI, dopo la Resistenza, tutti i maggiori esponenti di questa Brigata militeranno nella sinistra extra parlamentare. Infine, ritengo sia giusto e meritocratico ponderare l’impegno delle varie organizzazioni politiche nella Resistenza. Le brigate partigiane furono soprattutto socialiste e comuniste e la connotazione politica dei partigiani favaresi ricalca il tendenza nazionale.
Ha ancora un significato festeggiare il 25 aprile?
E’ necessario, più di prima! Perché, purtroppo, la destra italiana non è antifascista e lo dimostrano ogni anno con le solite provocazioni dei loro giornalai e dei loro leader. La liberazione non è un derby o una guerra civile ma una lotta patriottica attraversata da centinaia di migliaia di volontari di estrazioni politico-sociali diversi, ma uniti e convinti a cacciare i tedeschi e i vassalli fascisti dall’Italia.
Il 25 Aprile in passato era la festa della liberazione dal nazifascismo ed oggi cos’è diventata ?
Perseguendo questo obiettivo, L’ANPI, il prossimo 25 Aprile, non rinuncerà a celebrare la liberazione e a proposto di intonare, alle ore 15:00, da ogni balcone e finestra il canto della Resistenza famoso in tutto il mondo: ‘Bella ciao’. Anche nel tempo del coronavirus faremo sano esercizio della memoria.
Il 10 maggio del 1933 i nazisti bruciarono i libri sulla piazza del Teatro dell’Opera di Berlino. Un gesto eclatante e di grande sofferenza simbolica . Che significa per un paese bruciare i libri?
I libri sono frutto di un’elaborazione intellettuale dell’uomo. Distruggere i libri significa distruggere il pensiero in tutte le sue forme. Tuttavia, penso che il pensiero non possa essere limitato. Il fascismo, ad esempio, si propose di “impedire a quel cervello – riferendosi a Gramsci – di funzionare per almeno vent’anni”. Nonostante il carcere, i continui spostamenti, le sue precarie condizioni di salute, le vessazioni e le privazioni quel cervello non smise mai di pensare e di produrre cultura. Oggi, Gramsci è studiato in tutto il mondo.
Perché i libri sono così importanti?
I libri sono il metodo migliore per non rimbambirsi davanti alla tv o ai social, creano coscienza critica, allargano la mente, scuotono il cervello, rompono la routine e sono un valido antistress. I libri sono l’unico antidoto per guarire questa disordinata società.
Qual è la tua lettura del 25 Aprile?
La Liberazione non va letta come un episodio isolato, ma nel suo rapporto da un lato con l’antifascismo che l’ha preparata e dell’altro con la Repubblica che da essa è nata. Per questi motivi acquista tutto il suo rilievo nella storia del nostro paese: il suffragio universale, l’espandersi delle organizzazioni operaie, contadine e sindacali, la nascita dei partiti popolari e così via. Attraverso la riflessione critica sul passato ritroviamo criteri di orientamento nel cammino che stiamo percorrendo e per le scelte che sono ancora nelle nostre mani.
La televisione tende a banalizzare i problemi del mondo e presenta le storie con un taglio culturale molto basso, quello giusto per parlare alla pancia della gente che non ha un pensiero critico.
A tal proposito, Marx, in tempi non sospetti, proferì: “ La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in generale sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale”. Dunque, la persuasione occulta svolta in primo luogo dalla TV, ha omologato i giovani provocando nevrosi e frustrazioni, ha inventato e inventa continuamente mode, propone bisogni non essenziali, aliene da ideali, programmi, propositi, tipici della civiltà dei consumi. Viviamo il tempo del capitalismo più aggressivo che può essere arginato solo con nuove forme di aggregazione e mutualismo. Socialismo o barbarie.
I partiti politici hanno sempre sottovalutato il potere che ha la Tv in un paese che non legge. Molta gente non ha letto il Gattopardo…
Chiusi il mio primo ciclo universitario con una tesi dal titolo “L’influenza della televisione e del cinema nelle politiche giovanili”. In questo studio sperimentale, confermai l’ipotesi di partenza: i media orientano le scelte elettorali in quella (grossa) fetta di popolazione che non sa discernere, criticare e catalogare le informazioni. Non a caso Berlusconi vinse le elezioni grazie alla (sua) TV, il M5S grazie ai social, Renzi con un populismo ibrido (quello che lascia intatto il sistema e che tanto piace agli industriali), Salvini con le fake news e con le dirette facebook in una politica che cambia continuamente santi e colori. Appunto, cambia tutto per non cambiare niente.
Bertold Brecht invitava tutti ad imparare, a non temere di porre domande, ad impugnare un libro che è più potente di un’arma per cambiare il mondo…
A Favara, ad esempio, manca una libreria. Evidentemente, il mercato non la richiede e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: non ci siamo più indignati, non ci siamo più incazzati ed abbiamo lasciato che certa sedicente politica scegliesse, per noi, il nostro futuro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ogni anno sono ben 5000 i siciliani tra i 18 e i 34 anni, molto spesso diplomati e laureati, che lasciano la Sicilia per prospettare il loro futuro e per riuscire a sviluppare opportunità di lavoro. Favara è uno dei paesi più colpiti dell’agrigentino e, infatti, la partecipazione ne risente fortemente. Ad esempio, ricordo che, nel 2012 si realizzò, una sorta di unione d’intenti basata su tematiche condivise fra le varie associazioni presenti sul territorio. Fu una stagione breve ma intensa di attività fra i quali ricordo la lotta contro la privatizzazione del Castello di Chiaramonte, l’opposizione all’installazione della cabina elettrica all’interno della scuola di via Olanda, l’impegno per la sottoscrizione dell’esposto contro la società Girgenti Acque S.P.A. con relativa protesta in consiglio comunale e l’organizzazione di alcuni eventi culturali. Eravamo veramente in tanti. In seguito, fondammo LiberArci per raccogliere questa eredità e credo che, in questi anni, siamo stati una delle poche voci fuori dal coro.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho appena concluso un lavoro di ricerca incentrato sullo sbarco degli americani in Sicilia e in particolare a Favara. Questo lavoro si pone l’obiettivo di sviscerare questa porzione di storia dal lato militare, sociale, politico e antropologico. C’è tanta carne al fuoco: i retroscena politici dello sbarco, i contatti fra le varie organizzazioni, l’arretratezza economica e sociale dell’isola, le precarie condizioni dei bersaglieri italiani, il facile sodalizio fra occupati e occupanti, il movimento dei “non si parte”, i profughi provenienti dal continente in Sicilia, il MIS e la parziale epurazione dei fascisti e tanto altro. Dopo aver sistemato e catalogato tutto questo materiale, ho ritenuto opportuno di interrogare le fonti orali, quei pochi ultraottantenni e novantenni del nostro paese che vissero in prima persona quei fatti. Tutte le persone da me consultate, dico tutte, hanno collaborato con un trascinante entusiasmo forse perché nell’immaginario collettivo, questo spaccato di storia locale, rappresentò il punto di svolta del nuovo corso del nostro paese e della nostra nazione. In molti mi hanno detto orgogliosamente “j c’era” come a rimarcare l’importanza di aver assistito direttamente ad un appuntamento imperdibile con la storia e che la mia penna potesse essere l’ultima occasione per raccontare quella Favara.
Riesi. Attraverso videomessaggi, racconti, storie, biografie e lettere su iniziativa dell’Anpi Sabato commemorazione sui social per la festa della Liberazione

Giuseppe Calascibetta, referente dell’ANPI Riesi
RIESI. Saranno ricordati sabato, in occasione della festa della Liberazione, dall’Anpi, tutti i partigiani, deportati e antifascisti riesini. Un’iniziativa nazionale dell’Anpi denominata“25Aprile#Iorestolibero”a cui stanno aderendo associazioni, istituzioni, Comuni. e cittadini. Sulla piazza virtuale internet verranno commemorati attraverso video messaggi, racconti, storie, biografie e lettere, quanti hanno lottato in
prima linea contro il fascismo. «Quest’anno, nel settantacinquesimo anniversario
della Liberazione – dice il referente locale dell’Anpi, Giuseppe Calascibetta – abbiamo bisogno più che mai di celebrare la nostra libertà, di tornare a guardare al futuro con
speranza e coraggio. Per questo vogliamo ricordare alcuni dei tanti riesini che hanno contribuito alla resistenza partigiana».
È possibile trovare le loro storie sulla pagina ufficiale facebook dell’ Anpi Riesi e nella pagina facebook e instagram dell’Anpi Sicilia. Verranno ricordati i partigiani Gaetano Butera,Filippo Calascibetta, Pietro Calascibetta, Salvatore Calascibetta, Fortunato Carlino, Giuseppe Chiarenza, Giuseppe Di Bella, Paolo Fonte, Calogero Imbergamo, Luigi Laurino, Angelo Perno, Giovanni Russo, Salvatore Savoca, Giuseppe Veneziano, Giovanni Sanfilippo, Antonia Lepore, Salvatore Marchese, Giuseppe Golisano, i deportati Giuseppe Albo, Giuseppe Azzolina, Giuseppe Balsamo, Calogero Di Piazza, Salvatore Giuliana, Giuseppe La Rosa, Giuseppe Porrovecchio, Salvatore Russo, Giuseppe Sessa, Pietro Toscano, Salvatore Terranova, Carmelo Boncore, Giuseppe La Rosa e, infine, gli antifascisti Filippo Baldacchino, Salvatore Ballaera, Giuseppe Buffone, Filippo De Bilio, Pietro De Bilio, Antonio Di Legami, Ferdinando Di Legami, Francesco Di Termini, Giuseppe Giabbarrasi, Carlo Marchese, Calogero Oliviero, Gaetano Pasqualino, Giuseppe Pesce, Diego Porrovecchio, Filippo Scroppo, Gaetano Sessa.
DELFINA BUTERA
Fonte: La Sicilia, Mercoledi 22/04/2020
Verso il 25 Aprile: Il ruolo delle donne nella Resistenza- Intervista a Claudia Cammarata
Il 25 Aprile si festeggia anche quest’anno nonostante il tentativo di inquinarne la memoria in un periodo di profonda fragilità del nostro paese. Con quella di oggi iniziamo una serie di interviste che possano ricordarne l’importanza, raccontare le iniziative virtuali che stanno nascendo per festeggiarlo anche da casa, e soprattutto gli insegnamenti da poter trarre in vista di quello che sarà un momento di ricostruzione del Paese dopo il grave momento che stiamo vivendo. Questo pomeriggio iniziamo con Claudia Cammarata che dal mondo dell’attivismo e associazionismo risponde alle nostre domande:
Perché l’antifascismo dovrebbe essere un valore per tutti i cittadini?
L’antifascismo è un valore per i cittadini e le cittadine ma più che altro è un modo di essere, di agire, di concepire la vita sociale, economica e politica di un Paese. Essere antifascisti significa essere irremovibili su quei principi di libertà e uguaglianza che sono alla base della nostra democrazia. E significa avere come punto di riferimento fermo e luminoso la nostra Costituzione, nata perché quella terribile esperienza non si ripeta mai più.
Pensi che ci sia una colpa di una parte della sinistra se oggi il 25 Aprile e l’antifascismo non è da tutti sentito allo stesso modo, oppure la responsabilità è solo di un destra che strizza l’occhio ed sentimenti nostalgici nei confronti del passato?
Penso che un mea culpa generale sia doveroso e anche necessario: probabilmente a sinistra abbiamo abbassato la guardia credendo che quei principi in cui – fortemente – crediamo fossero al sicuro e conquistati in maniera definitiva. I diritti e libertà di cui godiamo devono essere accompagnati dal dovere di difenderli ovunque sia necessario, in maniera costante e a qualunque costo. Le commemorazioni non sono sufficienti se la Memoria non diventa esercizio quotidiano, azione e proposta. Del resto il 25 aprile di 75 anni fa non fu forse l’inizio? Che sia ogni 25 aprile un momento per iniziare o per continuare.
Dall’altra parte conviviamo ancora e da sempre con una certa destra che più che strizzare l’occhio direi che è costruita su quei “valori” che l’antifascismo deve difendere e combattere. Questa destra negli ultimi anni ha visto allargare le basi del proprio consenso perché ha trovato il capro espiatorio ideale, questa volta gli immigrati, contro cui aizzare gli animi degli italiani, approfittando del malessere generale dovuto alla povertà in cui versano tante famiglie, all’alto tasso di disoccupazione giovanile, alla precarietà del mondo del lavoro. Una propaganda becera intrisa di odio e menzogne che ha scatenato una guerra tra poveri e creato molta confusione.
Da appassionata lettrice quale libro consigli per riscoprire il valore di questa giornata?
Consiglio “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. 8 settembre 1943-25 aprile 1945” curato da Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli. Sono le parole, le ultime, piene di dolore ma ferme e fiere che partigiani e patrioti catturati da fascisti o tedeschi rivolgono ai familiari. Alcuni consapevoli altri con il presentimento che verranno giustiziati a breve tutti vivono per la prima e ultima volta l’atroce esperienza di <>.
Essere antifascista ha un significato in più per una donna?
Certamente. Per le donne l’esperienza della Resistenza e della Liberazione ha rappresentato un momento cruciale. È stato un momento in cui, per usare le parole della partigiana Marisa Ombra “si sono rotte tante gabbie”: gli uomini hanno nuovamente imparato a vivere in libertà e per la prima volta lo hanno imparato anche le donne. Per coloro che hanno combattuto in prima linea il salto è stato enorme: vivere in banda insieme a dei ragazzi ha significato per tutti, anche per gli uomini, inventare nuovi modi di rapportarsi. L’esperienza della Resistenza ha gettato le basi per la liberazione della donna in toto, come singola e come membro di una collettività: subito dopo le donne hanno iniziato a votare e ad essere votate, hanno dato il loro importante contributo alla stesura della Carta Costituzionale. Si sono organizzate in partiti e associazioni e hanno messo al centro la questione femminile, questione che ben presto divenne politica. Sono diventate cittadine con dei diritti e dei doveri, doveri diversi da quelli di essere esclusivamente buone figlie, buone mogli e buone madri. Essere antifasciste significa per le donne far propri quei sentimenti di ribellione alla violenza, all’oppressione e ai “ruoli” prestabiliti. Significa aver consapevolezza di dover fare la propria parte nella società in cui viviamo.
Cosa ne pensi dell’idea dell’onorevole La Russa di sostituire il 25 aprile con il ricordo dei caduti di tutte le guerre e i virus compreso il Coronavirus?
Io penso che l’onorevole dovrebbe studiare qualche pagina di Storia, anche in un sussidiario delle scuole elementari. I tentativi di revisionismo da parte di certi personaggi della politica sono sempre ricchi di espedienti più o meno fantasiosi per gettare fango sulla Memoria e sul sangue di coloro che subirono torture indicibili e furono uccisi per permettere a questi personaggi, anche all’onorevole La Russa, di dire la propria. Non la chiamo “opinione” perchè il fascismo non è un’opinione ma un crimine.
In che modo vi state preparando per questa giornata nonostante il lockdown?
Con il direttivo territoriale dell’Arci (composto dal presidente provinciale Giuseppe Montemagno, da Roberta Lanzalaco dell’ Arci Strauss di Mussomeli, da Calogero Santoro de “I Girasoli” di Caltanissetta e dalla sottoscritta) abbiamo avviato l’iniziativa social “Percorsi di Resistenza”: un percorso tutto al femminile che ci accompagnerà fino al 25 aprile e oltre per riscoprire il ruolo delle donne all’interno della Resistenza. Attraverso il filo rosso della memoria arriveremo ai giorni nostri, in cui noi donne siamo chiamate quotidianamente a resistere contro la violenza e le discriminazioni. Un processo di liberazione iniziato il 25 aprile e per noi ancora in corso.
La campagna è partita sabato 18 aprile attraverso una serie di fotografie che ritraggono noi donne dell’Arci del territorio con in mano un cartello con gli hashtag #liberesempre #versoil25aprile #ComunqueResistenti. Nel giro di due giorni tantissime altre donne ci hanno seguite spontaneamente e molte altre sono state coinvolte. Volti, storie, esperienze diverse unite in un’unica voce: noi ci siamo, ricordiamo e resistiamo.
di Giulio Scarantino
Claudia Cammarata è presidentessa del circolo Attivarcinsieme di San Cataldo all’interno del quale ha costituito il Centro Culturale delle Donne “Felicia Bartolotta Impastato”, membro del direttivo provinciale dell’Arci e attivista dell’Anpi “Sandro Pertini” di San Cataldo.
Messina. La storia del partigiano Amerigo Zavan
Amerigo Zavan. Treviso 10-11-1919/Messina 12-9-2007 (Uff. di complemento Artiglieria Sabaudia, partigiano Brigata Garibaldi, capo gruppo ricognitori del Servizio I. M. del Comando Militare del CLN della provincia di Treviso).
Il ten. Galliano Boccaletto, responsabile del Servizio Informazioni del CLN di Treviso e in contatto con il S.I.M. (Servizio informazioni militare) del Regno del Sud, medaglia d’argento al valor militare, elogia le sue staffette e i suoi ricognitori: Pietro Galante, responsabile dei collegamenti; Clementina Basso, Sandro Sartorello, Giuseppina Crosato e Gianni Zambelli (staffette); Amerigo Zavan capogruppo, Mario Dichiara e Sante Bovo ricognitori.
“E’ doveroso segnalare l’ottimo servizio svolto per lunghi mesi con grande senso di abnegazione e disciplina dalle staffette del S.I.M. Il loro sforzo, prodigato in silenzio giorno per giorno, permise all’organizzazione del servizio di mantenersi efficiente e proficua anche tra l’imperversare di rastrellamenti e persecuzioni. Non meno encomiabili, per grande spirito di sacrificio e volontà, sono gli elementi ricognitori del nostro servizio, ragazzi instancabili che hanno percorso senza formulare mai la minima obbiezione centinaia di chilometri in bicicletta, molto spesso sotto la pioggia invernale, per raggiungere le zone da perlustrare e rilevare quanto era loro ordinato. Spesso accadde che, superando le zone militari e interdette ai civili, fossero catturati e perquisiti centimetro per centimetro, con grandissimo rischio, dato che, quasi sempre
tenevano con loro schizzi, piante e note relative allo spionaggio. Segnaliamo quindi gli elementi che meglio si distinsero nei suaccennati servizi.
Propongo pertanto che ai suaccennati patrioti venga dato per iscritto il ben meritato elogio. Il responsabile del servizio
F/to Boccaletto Galliano
(Relazione di Boccaletto al Comando Militare Regionale Veneto del Corpo Volontari della Libertà, datata 15 maggio 1945, presente in Biblioteca Digitale Lombardia)
Calogero Boccadutri e l’antifascismo nel nisseno
Calogero Boccadutri. Nato a Favara il 22 luglio 1907, morto a Caltanissetta il 17 luglio 1992. All’età di sette anni rimane orfano del padre, piccolo imprenditore che con i carretti trasporta merci e zolfo da e per la stazione di Aragona Caldara.
La circostanza alimenta una serie di rovesci familiari che lo costringono, unico maschio della famiglia, a lasciare la scuola per il lavoro: prima in miniera e poi nella costruzione di tratte ferroviarie. A diciassette anni, preso nel vortice dell’ambiente turbolento di Favara, viene coinvolto in un furto e preso in una delle retate del prefetto Mori. Sconta oltre sette anni di carcere duro. Da San Gimignano a Civitavecchia.
ln carcere matura la sua scelta di vita quando incontra i comunisti e tra questi Terracini che ne parlerà come di un comunista sobrio, attento e disciplinato. Aderisce al partito Comunista clandestino con il nome di Luzio e quando esce dal carcere nel ’31, prende i contatti con Salvatore (Totò) Di Benedetto componente del Centro lnterno del Partito a Milano. Costituisce le prime cellule a Favara e nella provincia di Agrigento.

Pompeo Colajanni, Calogero Boccadutri e Leonardo Speziale. Festa dell’Unita presso la Villa Cordova di Caltanissetta. Anni 70.
ll Partito gli ‘chiede di trasferirsi a Caltanissetta per organizzare la rete clandestina in quella provincia dove si trasferisce tra molte difficoltà nel ’32. A Caltanissetta si collega dapprima con Pompeo Colajanni e Nicola Piave, figure note ai fascisti e fortemente controllati. Con le cellule comuniste clandestine, costituite nelle province di Caltanissetta e Agrigento, e la diffusione di documenti del Partito tesse una fitta rete composta da centinaia di compagni che alimentano l’attività antifascista: contadini, minatori, impiegati, studenti, e tra questi Emanuele Macaluso che lo seguirà sempre nei suoi itinerari, e, poi, Gaetano Costa, Gino Cortese, Leonardo Sciascia, il quale lo ricorderà sempre con sentimenti di amicizia e ne scriverà in alcuni scritti.
Mentre svolge il lavoro di copertura tra miniere e imprese di costruzioni stradali, tiene i collegamenti del centro della Sicilia con il Centro lnterno del Partito di Milano e con compagni di Reggio Calabria e Messina. Mantiene i rapporti con i compagni di Palermo, di Catania, di Trapani, Siracusa e Ragusa, tiene i collegamenti con i socialisti e con Giuseppe Alessi dei popolari di Caltanissetta e con gli antifascisti Guarino Amella e Pasqualino Vassallo. Nel giugno del ’43 incontra Elio Vittorini nel suo viaggio politico in Sicilia e in quell’incontro si stabiliscono le iniziative per abbattere il regime nazifascista e dare vita ad un governo popolare e democratico. Vittorini si informerà continuamente di Boccadutri e ricorderà sempre con commozione e affetto il suo incontro con “Luzio”.

Calogero Boccadutri insieme a Leonardo Sciascia
Lo sbarco degli americani nel luglio del ’43 lo coglie mentre, dopo il convegno dei comunisti a Lentini, e diretto a Ravanusa per stampare I’appello insurrezionale di Lentini. Non potendo rientrare a Caltanissetta si dirige, a piedi, a Favara, il suo paese, e lì organizza il governo della città che accoglie gli americani, proponendo come Sindaco Salvatore Amico, valente artigiano favarese e figura esemplare di correttezza ed onestà. Nel frattempo impegnando la rete delle cellule del Partito organizza l’approvvigionamento alimentare di Favara che era rimasta senza.
Quando gli americani, con un pretesto, destituiscono il Sindaco Amico, organizza insieme ai compagni una manifestazione così imponente e determinata da costringere il comando americano a riconsegnare il governo del paese nelle mani del Sindaco Amico. Rientrato a Caltanissetta dopo qualche’ giorno, viene arrestato dagli americani e portato prima ad Agrigento e poi a Palermo all’Ucciardone.
Francesco Villari, la storia di un partigiano di Gela

La lapide posta nel Piazzale Marsala a Parma, ricorda tra le vittime dell’eroica resistenza il S.Tenente Francesco Villari di anni 20, decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria, con Decreto Presidenziale dell’11 febbraio 1963.
Francesco Villari nato a Gela il 20.05.1923 Sottotenente Scuola applicaz. fanteria – decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare – Alla memoria, con Decreto Presidenziale dell’11 febbraio 1963. Il combattimento, rapido e intenso, si concluse con la sconfitta dei nostri mezzi corazzati; nello scontro furono uccisi sei carristi italiani, uno dei carri armati italiani fu distrutto vicino al Ponte e un altro precipitò nel greto della Parma. La mattina seguente, 9 settembre 1943, la città era ormai sotto il pieno controllo dei tedeschi.
Encomio: «Ufficiale frequentatore della scuola di applicazione di fanteria, avuto sentore, mentre si trovava nella propria abitazione, che l’unità tedesca stava attaccando l’Istituto, noncurante del pericolo accorreva prontamente per intervenire nella lotta. Giunto nei pressi della Scuola, accortosi che essa era completamente accerchiata, con generoso slancio si univa ad un nostro reparto corazzato che, non lontano, combatteva contro soverchianti forze tedesche. Nell’aspra e cruenta lotta, combattendo fianco a fianco con i carristi, si distingueva per indomito valore e ardimento. Cadeva poco dopo, colpito da una raffica di mitragliatrice. «Fulgido esempio di predare virtù militare». (Parma, 9 settembre 1943)
a cura del Comitato Provinciale ANPI Caltanissetta
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