Categoria: Lentini
Portella della Ginestra, la strage del Primo maggio

SANGUE ROSSO – 1° Maggio a Portella delle Ginestre opera di Dino Vaccaro
Un nome primaverile che evoca un giorno di morte. Il Primo maggio del 1947 una folla di lavoratori, donne, bambini e anziani – riuniti a Portella della Ginestra, in Sicilia – fu bersagliata dalle raffiche di mitra della banda di Salvatore Giuliano. Nell’area tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, molti si erano ritrovati per festeggiare la vittoria elettorale del «Blocco del Popolo» (l’alleanza tra socialisti e comunisti) alle elezioni regionali del 20 aprile (qui il racconto di Egisto Corradi dall’Archivio del Corriere), altri per ascoltare il discorso di alcuni dirigenti del Pci in occasione della Festa dei lavoratori. La prima che si tornava a festeggiare in quella data, dopo essere stata spostata dal regime fascista al 21 aprile (il «Natale di Roma»). Furono undici le persone uccise sul colpo, più di sessanta i feriti. Ad appoggiare Giuliano erano poteri mafiosi, frange dell’autonomismo siciliano e forze che intendevano garantire il perpetuarsi degli equilibri di potere anche nel nuovo quadro istituzionale e politico del Dopoguerra, e intimidire le masse contadine che reclamavano la terra (qui la prefazione di Ferruccio de Bortoli alla riedizione del libro di Tommaso Besozzi «La vera storia del bandito Giuliano»).

Portella, opera di Ettore Coinciliis
«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari», ha raccontato nel 2017, in occasione del 70esimo anniversario dell’eccidio, Serafino Petta, l’ultimo sopravvissuto. «Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, «i mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», ha ricordato ancora Petta. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».
Una strage ancora oggi senza mandanti: proprio in occasione dei 70 anni dell’eccidio, l’allora presidente del Senato, Pietro Grasso, chiese di rendere pubblici i documenti ancora non accessibili e accertare le responsabilità di una tragedia che ha segnato la stagione delle lotte per la terra e, più in generale, la crisi politica, sociale e dell’ordine pubblico del Dopoguerra (qui il commento di Paolo Mieli). Sulla base di nuove acquisizioni documentali nel dicembre 2004 i familiari delle vittime hanno chiesto la riapertura dell’inchiesta. Per Portella, come per altre stragi che hanno insanguinato l’Italia, la verità è ancora lontana.
Fonte: 1 MAGGIO 2019 | di Silvia Morosi e Paolo Rastelli | @MorosiSilvia @paolo_rastelli
Riesi. Attraverso videomessaggi, racconti, storie, biografie e lettere su iniziativa dell’Anpi Sabato commemorazione sui social per la festa della Liberazione

Giuseppe Calascibetta, referente dell’ANPI Riesi
RIESI. Saranno ricordati sabato, in occasione della festa della Liberazione, dall’Anpi, tutti i partigiani, deportati e antifascisti riesini. Un’iniziativa nazionale dell’Anpi denominata“25Aprile#Iorestolibero”a cui stanno aderendo associazioni, istituzioni, Comuni. e cittadini. Sulla piazza virtuale internet verranno commemorati attraverso video messaggi, racconti, storie, biografie e lettere, quanti hanno lottato in
prima linea contro il fascismo. «Quest’anno, nel settantacinquesimo anniversario
della Liberazione – dice il referente locale dell’Anpi, Giuseppe Calascibetta – abbiamo bisogno più che mai di celebrare la nostra libertà, di tornare a guardare al futuro con
speranza e coraggio. Per questo vogliamo ricordare alcuni dei tanti riesini che hanno contribuito alla resistenza partigiana».
È possibile trovare le loro storie sulla pagina ufficiale facebook dell’ Anpi Riesi e nella pagina facebook e instagram dell’Anpi Sicilia. Verranno ricordati i partigiani Gaetano Butera,Filippo Calascibetta, Pietro Calascibetta, Salvatore Calascibetta, Fortunato Carlino, Giuseppe Chiarenza, Giuseppe Di Bella, Paolo Fonte, Calogero Imbergamo, Luigi Laurino, Angelo Perno, Giovanni Russo, Salvatore Savoca, Giuseppe Veneziano, Giovanni Sanfilippo, Antonia Lepore, Salvatore Marchese, Giuseppe Golisano, i deportati Giuseppe Albo, Giuseppe Azzolina, Giuseppe Balsamo, Calogero Di Piazza, Salvatore Giuliana, Giuseppe La Rosa, Giuseppe Porrovecchio, Salvatore Russo, Giuseppe Sessa, Pietro Toscano, Salvatore Terranova, Carmelo Boncore, Giuseppe La Rosa e, infine, gli antifascisti Filippo Baldacchino, Salvatore Ballaera, Giuseppe Buffone, Filippo De Bilio, Pietro De Bilio, Antonio Di Legami, Ferdinando Di Legami, Francesco Di Termini, Giuseppe Giabbarrasi, Carlo Marchese, Calogero Oliviero, Gaetano Pasqualino, Giuseppe Pesce, Diego Porrovecchio, Filippo Scroppo, Gaetano Sessa.
DELFINA BUTERA
Fonte: La Sicilia, Mercoledi 22/04/2020
Messina. La storia del partigiano Amerigo Zavan
Amerigo Zavan. Treviso 10-11-1919/Messina 12-9-2007 (Uff. di complemento Artiglieria Sabaudia, partigiano Brigata Garibaldi, capo gruppo ricognitori del Servizio I. M. del Comando Militare del CLN della provincia di Treviso).
Il ten. Galliano Boccaletto, responsabile del Servizio Informazioni del CLN di Treviso e in contatto con il S.I.M. (Servizio informazioni militare) del Regno del Sud, medaglia d’argento al valor militare, elogia le sue staffette e i suoi ricognitori: Pietro Galante, responsabile dei collegamenti; Clementina Basso, Sandro Sartorello, Giuseppina Crosato e Gianni Zambelli (staffette); Amerigo Zavan capogruppo, Mario Dichiara e Sante Bovo ricognitori.
“E’ doveroso segnalare l’ottimo servizio svolto per lunghi mesi con grande senso di abnegazione e disciplina dalle staffette del S.I.M. Il loro sforzo, prodigato in silenzio giorno per giorno, permise all’organizzazione del servizio di mantenersi efficiente e proficua anche tra l’imperversare di rastrellamenti e persecuzioni. Non meno encomiabili, per grande spirito di sacrificio e volontà, sono gli elementi ricognitori del nostro servizio, ragazzi instancabili che hanno percorso senza formulare mai la minima obbiezione centinaia di chilometri in bicicletta, molto spesso sotto la pioggia invernale, per raggiungere le zone da perlustrare e rilevare quanto era loro ordinato. Spesso accadde che, superando le zone militari e interdette ai civili, fossero catturati e perquisiti centimetro per centimetro, con grandissimo rischio, dato che, quasi sempre
tenevano con loro schizzi, piante e note relative allo spionaggio. Segnaliamo quindi gli elementi che meglio si distinsero nei suaccennati servizi.
Propongo pertanto che ai suaccennati patrioti venga dato per iscritto il ben meritato elogio. Il responsabile del servizio
F/to Boccaletto Galliano
(Relazione di Boccaletto al Comando Militare Regionale Veneto del Corpo Volontari della Libertà, datata 15 maggio 1945, presente in Biblioteca Digitale Lombardia)
Lentinesi due eroi della Resistenza scampati alla fucilazione
Luigi Briganti, catturato dai tedeschi, dopo atroci torture, fu condannato a morte ma poco prima di essere ucciso venne liberato dai partigiani. Un altro suo compaesano, Salvatore Francesco Lazzara, comandante “Matteo”, si salvò per uno scambio di prigionieri
Ufficialmente furono 2459 i partigiani nati in Sicilia che parteciparono alla Resistenza in Piemonte, questi i dati per provincia di nascita: Agrigento 323, Caltanissetta 237, Catania 476, Enna 206, Messina 399, Palermo 277, Ragusa 144, Trapani 218, Siracusa 179). Questi partigiani furono riconosciuti subito dopo l’ordinato scioglimento delle formazioni partigiane, con il processo della smobilitazione e la consegna delle armi, il cui termine era stato fissato per il 7 Giugno 1945. La Commissione regionale piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane fu attiva a Torino tra il 1945 e il 1948 sotto la presidenza del generale Alessandro Trabucchi; essa venne istituita, con altre dieci Commissioni regionali, dal decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, n. 518, e vagliò e definì anche la posizione dei partigiani siciliani, parecchi dei quali però, non appena fu possibile, erano già partiti per i paesi di origine e non si curarono mai di ottenere un riconoscimento che in termini pratici non sarebbe servito a nulla e, pertanto, non si è lontani dalla realtà se si pensa che il numero dei partigiani siciliani in Piemonte abbia potuto superare anche le tremila unità.
La Civetta di Minerva, 1 dicembre 2017
Ufficialmente furono 2.459 i partigiani nati in Sicilia che parteciparono alla Resistenza in Piemonte, questi i dati per provincia di nascita: Agrigento 323, Caltanissetta 237, Catania 476, Enna 206, Messina 399, Palermo 277, Ragusa 144, Trapani 218, Siracusa 179). Questi partigiani furono riconosciuti subito dopo l’ordinato scioglimento delle formazioni partigiane, con il processo della smobilitazione e la consegna delle armi, il cui termine era stato fissato per il 7 Giugno 1945. La Commissione regionale piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane fu attiva a Torino tra il 1945 e il 1948 sotto la presidenza del generale Alessandro Trabucchi; essa venne istituita, con altre dieci Commissioni regionali, dal decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, n. 518, e vagliò e definì anche la posizione dei partigiani siciliani, parecchi dei quali però, non appena fu possibile, erano già partiti per i paesi di origine e non si curarono mai di ottenere un riconoscimento che in termini pratici non sarebbe servito a nulla e, pertanto, non si è lontani dalla realtà se si pensa che il numero dei partigiani siciliani in Piemonte abbia potuto superare anche le tremila unità.
Per quanto concerne la provincia di Siracusa la suddivisione dei 179 partigiani nei comuni di nascita vede quasi tutte i comuni rappresentati: in testa Noto con ben 24 Partigiani, seguita da Lentini 19, Siracusa 19, Floridia 16, Rosolini 16, Avola 14, Pachino 10, Palazzolo Acreide 10, Sortino 9, Melilli 8, Augusta 7, Buccheri 6, Canicattini Bagni 6, Carlentini-Pedagaggi 5, Francofonte 4, Ferla 2, Solarino 2, Buscemi 1, Priolo Gargallo 1. Cassaro e Portopalo di Capopassero nessuno
Tra i partigiani siracusani vi furono delle figure leggendarie, in particolare due partigiani di Lentini.
Salvatore Francesco Lazzara, nato a Lentini il 16 Maggio 1920, sottotenente di complemento a SettimoTorinese, proprio all’indomani dell’otto settembre del 1943 si attiva per organizzare la Resistenza assumendo, con il nome di comandante “Matteo”, il comando della formazione SAP (Squadre di Azione Patriottica) “Brigata Patria” della quarta divisione garibaldina, che operava nel quadrante orientale di Torino, con il compito di catturare e disarmare tedeschi e fascisti, con sabotaggi e attacchi. Una vita furtiva, con azioni fatte di sorpresa, per danneggiare il nemico e procurare armi e vestiario per i Partigiani della montagna.
Il 3 Marzo 1945 un adolescente portaordini partigiano, pestato a sangue, fa stanare dai brigatisti neri, in una casa di Settimo Torinese, il “comandante Matteo”, Salvatore Lazzara, l’introvabile sottufficiale siciliano. Arrestato e trasferito a Torino nella Caserma Cernaia, al Martinetto, e nella cella 417 delle Nuove, dovette subire tormenti e interrogatori. Il silenzio di quel partigiano di Lentini riservava comunque una fine annunciata, restando il dubbio tra il morire fucilato o impiccato, ma le SAP con i garibaldini della Patria catturarono Marisa, figlia di uno dei più alti gerarchi di Torino e proposero lo scambio dei prigionieri. Il 17 Marzo 1945, alla Caserma Cernaia, Don Paviolo, parroco di Settimo Torinese, consegnò la ragazza e si prese un Turi Lazzara che stava in piedi a mala pena.
Il partigiano Matteo rimase a Torino sino al 25 aprile del ’45 e, a Settimo Torinese, riprese il comando della sua brigata, liberando la città dalle Brigate Nere. Divenne il Primo Comandante Partigiano della Piazza di Settimo libera, formando la polizia del popolo in difesa della democrazia.
La città di Settimo Torinese non dimenticò quel valoroso partigiano ed il 25 Aprile 1981 conferì all’avvocato Salvatore Francesco Lazzara, “Comandante Matteo”, la cittadinanza onoraria, inoltre egli è stato insignito della Croce al merito di guerra e della medaglia d’argento al valor militare per l’eroismo dimostrato durante l’esperienza resistenziale. Non risulta che la città di Lentini o la Provincia di Siracusa, della quale è stato consigliere e poi assessore provinciale, lo ricordi in modo particolare.
Alla fine della guerra, rientrato in Sicilia, Lazzara si dedicherà con successo all’esercizio della professione forense. In particolare, sarà noto alle cronache nazionali per aver contribuito a risolvere il “caso Salvatore Gallo”, riuscendo a fare assolvere il suo assistito, già condannato all’ergastolo, ma accusato ingiustamente dell’omicidio del fratello Paolo, nel corso di un processo che, per il clamore nazionale che ebbe, porterà alla revisione della normativa penale.
Salvatore Francesco Lazzara morirà a Lentini, all’età di 86 anni, il 24 agosto 2006.
Luigi Briganti nato a Lentini il 24 Aprile 1924, medico chirurgo, deceduto a Lentini il 5 Aprile 2006, nel 1959 gli fu assegnata la Medaglia d’oro al valor militare ed esattamente venti anni più tardi il Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli conferiva anche la decorazione di Cavaliere di gran croce. A queste importantissime onorificenze si aggiunge, a pieno titolo, anche quella di cittadino onorario della città di Casale Monferrato, nel marzo 1983, e della città di Alessandria il 25 Aprile 2003. A Lentini in Piazza della Resistenza un cippo commemorativo in memoria di Briganti, il partigiano “Fortunello”, è stato messo a dimora dal Kiwanis e dall’Istituto del Nastro Azzurro che da anni assegna il Premio M.O.V.M. Luigi Briganti.
Appena diciannovenne, nel maggio 1943, Luigi Briganti fu destinato al 64° Reggimento di fanteria ad Ivrea (TO) dove lo sorprese l’armistizio dell’8 Settembre 1943 ed allora, con molti altri commilitoni meridionali, lasciava la città giungendo nei pressi di Boves (Cuneo) ed ivi assistette all’incendio delle case appiccato dai tedeschi, all’atroce visione di un industriale e di un prete dati alle fiamme e all’eccidio di vecchi, donne e bambini, per cui molti di quei soldati decisero di diventare partigiani unendosi al comandante Rino Giuseppe Rigola. Briganti, con il nome di battaglia di “Fortunello”, si vestiva da prete, da contadino, da donna e portava i messaggi agli altri comandanti partigiani, veniva spesso segnalato a Ciriè, Caselle, Caluso, Strambino, Ivrea e in quasi tutto il canavesano, nelle valli e a Torino ove era in contatto con il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Da persona di Cigliano (Vercelli) venne fornita la fotografia del Briganti che fu diffusa a tutti i comandi tedeschi e italiani, sul suo capo fu posta una grossa taglia con l’ordine di sparargli a vista. Ai primi di marzo del 1944, nel corso di un’azione isolata, per reperire armi e munizioni, contro impianti militari nemici cadde prigioniero dei tedeschi che lo portarono nel carcere di Casale Monferrato dove subì inumane sevizie ad opera dei tedeschi. Venne interrogato, ma non parlò, se lo avesse fatto avrebbe fatto crollare il movimento della Resistenza in Piemonte. Il processo sommario fatto dai tedeschi fu una farsa, in pochi secondi fu condannato alla fucilazione alla schiena. La reazione di Briganti fu: “Non sono un bandito, io sono un partigiano. Dovete fucilarmi al petto.” La sera del 20 marzo ottenne di incontrarsi con un sacerdote suo amico di Livorno Ferraris (Vercelli) e nell’occasione gli consegnò una lettera da recapitare ai suoi genitori a Lentini. Lettera che non arrivò mai a destinazione perché Briganti il 21 marzo 1944, portato vicino ad un torrente per essere fucilato, venne liberato dai suoi compagni partigiani e, tradotto nel canavese, venne curato dall’ancora non celebre prof. Dogliotti e la lettera, a fine guerra, venne consegnata dal prete agli archivi partigiani di Torino. Mentre veniva portato dinanzi al plotone di esecuzione, in un vigneto del Monferrato, fu scattata la fotografia che ritrae un Briganti ancora sanguinante, non si sa chi abbia scattato la fotografia e come sia finita anch’essa negli archivi partigiani di Torino. Arrestato una seconda volta, nel marzo del 1945, dai repubblichini fascisti, tramortito con i calci di moschetto e trascinato sulla neve per varie centinaia di metri legato ad in carro, venne tradotto a Torino dove non parlò, nonostante le atroci torture e gli interrogatori nella famigerata caserma di via Asti. Briganti sfuggi alla fucilazione perché venne prelevato dalle SS tedesche e portato all’ospedale di Mazzè (TO) dove venne scambiato con alcuni ufficiali tedeschi catturati dai partigiani in Valle d’Aosta. Il giorno della Liberazione, con le stampelle, salì su di un camion imbracciando un mitra e partecipò alla liberazione di Torino. Tornato alla sua Lentini, Luigi Briganti abbracciò i genitori in lutto che da due anni non avevano sue notizie e lo credevano morto. Girò per anni da un ospedale all’altro, al nord e al sud, per le gravi violenze subite durante gli estenuanti interrogatori: bollato alle spalle con un ferro rovente a forma di croce uncinata, il mento, il setto nasale e alcune vertebre cervicali rotti a pugni, calci, colpi di moschetto, le unghie dei piedi strappate con le pinze, spilli nei genitali, sigari accesi spenti sul viso e così via, e poi il dormire con la luce accesa, gli incubi notturni che per anni lo svegliano mentre urla “I tedeschi, i tedeschi! Lasciatemi morire…”. Il 14 novembre 1957 prende la laurea in medicina e svolge la professione con tale abnegazione da essere ancora ricordato nella sua Lentini come “il medico dei poveri”. La lettera del diciannovenne Luigi Briganti, ragazzo del Sud, riflette quelle forti esperienze di storia da affidare alle doverose riflessioni dei figli del Duemila, essa recita: “Cari genitori, mai sono stato calmo come in questo momento; so che fra poche ore per me sarà finita per sempre. Sono contento di aver fatto il mio dovere per la patria immortale e per la guerra partigiana. Contro i nazifascisti io non ho rimorso; ma l’avranno loro quando punteranno le armi contro di me per assassinarmi. Dò i miei diciannove anni alla patria e cadrò contento per questa nostra Italia di martiri e di eroi, sicuro che in un domani ritornerà la libertà a questo Nord Italia ove i tedeschi con l’aiuto dei fascisti di Salò spogliano le nostre industrie e portano via in Germania anche le rotaie ferroviarie e spargono il terrore tra il popolo. Perdonatemi, papà e mamma, se vi ho fatto soffrire. Vi prego di non piangermi; stanotte per la prima volta mi sono confessato e comunicato, appagando il vostro desiderio; però convinto dell’esistenza divina. Vi raccomando il mio nipotino Filadelfo e insegnategli ad amare la patria con tutto il cuore e a seguire la via dell’onore. Sono cattolico e certamente, come il mio confessore mi ha detto, io che ho il corpo martirizzato, troverò conforto e la mia anima si unirà a quella degli altri miei compagni caduti per la libertà. Non ho tradito nessuno; avrei potuto salvarmi, ma al tradimento ho preferito la morte. Ricordo tutti i miei parenti e amici e desidero che il mio corpo venga portato al cimitero di Lentini. Bacio voi, papà e mamma, mia sorella, i miei nipotini, mio cognato. Pregate per me. Vi bacio forte, forte. Vostro indimenticabile figlio Luigi Briganti, “Fortunello della Garibaldi”. Valle di Lanzo. W l’Italia, W i partigiani. 20 Marzo 1944.” Elenco completo dei 179 partigiani siracusani che ufficialmente risultano avere partecipato alla Resistenza in Piemonte; tra parentesi, per coloro che lo hanno adottato, il nome da partigiano.
Provincia di Siracusa
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