Categoria: resistenti siciliani

Portella della Ginestra, la strage del Primo maggio

opera di dino vaccaro

SANGUE ROSSO – 1° Maggio a Portella delle Ginestre opera di Dino Vaccaro

Un nome primaverile che evoca un giorno di morte. Il Primo maggio del 1947 una folla di lavoratori, donne, bambini e anziani – riuniti a Portella della Ginestra, in Sicilia – fu bersagliata dalle raffiche di mitra della banda di Salvatore Giuliano. Nell’area tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, molti si erano ritrovati per festeggiare la vittoria elettorale del «Blocco del Popolo» (l’alleanza tra socialisti e comunisti) alle elezioni regionali del 20 aprile (qui il racconto di Egisto Corradi dall’Archivio del Corriere), altri per ascoltare il discorso di alcuni dirigenti del Pci in occasione della Festa dei lavoratori. La prima che si tornava a festeggiare in quella data, dopo essere stata spostata dal regime fascista al 21 aprile (il «Natale di Roma»). Furono undici le persone uccise sul colpo, più di sessanta i feriti. Ad appoggiare Giuliano erano poteri mafiosi, frange dell’autonomismo siciliano e forze che intendevano garantire il perpetuarsi degli equilibri di potere anche nel nuovo quadro istituzionale e politico del Dopoguerra, e intimidire le masse contadine che reclamavano la terra (qui la prefazione di Ferruccio de Bortoli alla riedizione del libro di Tommaso Besozzi «La vera storia del bandito Giuliano»).

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Portella, opera di Ettore Coinciliis 

«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari», ha raccontato nel 2017, in occasione del 70esimo anniversario dell’eccidio, Serafino Petta, l’ultimo sopravvissuto. «Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, «i mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», ha ricordato ancora Petta. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».

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Una strage ancora oggi senza mandanti: proprio in occasione dei 70 anni dell’eccidio, l’allora presidente del Senato, Pietro Grasso, chiese di rendere pubblici i documenti ancora non accessibili e accertare le responsabilità di una tragedia che ha segnato la stagione delle lotte per la terra e, più in generale, la crisi politica, sociale e dell’ordine pubblico del Dopoguerra (qui il commento di Paolo Mieli). Sulla base di nuove acquisizioni documentali nel dicembre 2004 i familiari delle vittime hanno chiesto la riapertura dell’inchiesta. Per Portella, come per altre stragi che hanno insanguinato l’Italia, la verità è ancora lontana.

Fonte:  1 MAGGIO 2019 | di Silvia Morosi e Paolo Rastelli | @MorosiSilvia @paolo_rastelli

http://pochestorie.corriere.it/2019/05/01/portella-della-ginestra-la-strage-del-primo-maggio/?refresh_ce-cp

I partigiani a Favara e l’impegno politico- culturale.

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L’intervista a Pasquale Cucchiara è un viaggio nella storia del nostro paese, che si lega alle speranze e alle lotte che sono avvenute prima di raggiungere la libertà e l’uguaglianza fra i cittadini.
Pasquale Cucchiara è nato ad Agrigento nel 1986. Si è laureato presso l’università degli studi di Palermo in Scienze Pedagogiche ed ha pubblicato “Altri uomini – storie di antifascisti e partigiani favaresi (2015) e Salvatore Bosco – il filosofo del popolo (ed. Medinova 2019).
Oggi lavora su una ricerca storica incentrata sullo sbarco degli americani in Sicilia e in particolare a Favara.
Ha fondato il circolo culturale LiberArci e attualmente è nel direttivo provinciale del territoriale di Agrigento.

Quando nasce in te la passione per la storia?

La mia passione per la storia nasce a scuola. Molti docenti hanno avuto un’influenza decisiva nella mia formazione fra questi segnalo con piacere il Professore Giuseppe Alonge.

Tu hai scritto un libro dal titolo: Gli altri uomini. Qual è il messaggio di questo lavoro?

Con la pubblicazione di “Altri Uomini” ho voluto storicizzare Favara nella Resistenza. Ho fatto diverse presentazioni nelle scuole di Favara e all’università Kore di Enna e ti posso assicurare che i ragazzi hanno compreso l’obiettivo: la Resistenza va studiata come fenomeno sociale. Inoltre, questo e altri lavori similari, dimostrano che anche i meridionali contribuirono in questo processo di liberazione nazionale. Il messaggio di questo umile lavoro è stato amplificato dal fatto che ho avuto la possibilità di presentarlo nella sala stampa della Camera dei deputati e che l’amministrazione comunale precedente ha avuto la sensibilità di farne una stele dedicata a questi uomini e a queste donne.

Dove hai trovato le notizie che riguardano gli antifascisti e i partigiani favaresi?

E’ stato un lavoro molto faticoso perché ho contattato tutte le segreterie regionali dell’ANPI, molti istituti storici per la Resistenza e per l’età contemporanea, l’Istituto Gramsci di Palermo, biblioteche fondazioni, fino alle fonti orali. Questa ricerca capillare mi ha permesso di intercettare partigiani favaresi in tutte le regioni del Centro-Nord Italia.

Chi sono i partigiani favaresi?

Non esistono eroi costruiti ma gente che, nel momento più importante e decisivo per la nostra patria, mise in gioco la propria vita. Il fascismo aveva abituato il popolo solo ad ubbidire, mentre ora, avevano la possibilità di scegliere liberamente se partecipare o meno alla Resistenza. Le formazioni partigiane hanno avuto una chiara connotazione politica anche perché al loro interno operavano dei commissari politici. Fra i 26 partigiani, mi piace ricordare le storie di Michele Imbergamo e Calogero Pullara proprio per la loro diversità politica. Michele Imbergamo, nato il 23/02/1891 a Favara, entrò nella Resistenza tramite un prete e operò quale responsabile militare della DC per la provincia di Bologna e fu uno dei protagonisti della liberazione della città.
Calogero Pullara, nato il 24/10/1903 a Favara, fu il capitano della brigata “Bandiera Rossa” operante a Roma. In dissidenza con il PCI, dopo la Resistenza, tutti i maggiori esponenti di questa Brigata militeranno nella sinistra extra parlamentare. Infine, ritengo sia giusto e meritocratico ponderare l’impegno delle varie organizzazioni politiche nella Resistenza. Le brigate partigiane furono soprattutto socialiste e comuniste e la connotazione politica dei partigiani favaresi ricalca il tendenza nazionale.

Ha ancora un significato festeggiare il 25 aprile?

E’ necessario, più di prima! Perché, purtroppo, la destra italiana non è antifascista e lo dimostrano ogni anno con le solite provocazioni dei loro giornalai e dei loro leader. La liberazione non è un derby o una guerra civile ma una lotta patriottica attraversata da centinaia di migliaia di volontari di estrazioni politico-sociali diversi, ma uniti e convinti a cacciare i tedeschi e i vassalli fascisti dall’Italia.

Il 25 Aprile in passato era la festa della liberazione dal nazifascismo ed oggi cos’è diventata ?

Perseguendo questo obiettivo, L’ANPI, il prossimo 25 Aprile, non rinuncerà a celebrare la liberazione e a proposto di intonare, alle ore 15:00, da ogni balcone e finestra il canto della Resistenza famoso in tutto il mondo: ‘Bella ciao’. Anche nel tempo del coronavirus faremo sano esercizio della memoria.

Il 10 maggio del 1933 i nazisti bruciarono i libri sulla piazza del Teatro dell’Opera di Berlino. Un gesto eclatante e di grande sofferenza simbolica . Che significa per un paese bruciare i libri?

I libri sono frutto di un’elaborazione intellettuale dell’uomo. Distruggere i libri significa distruggere il pensiero in tutte le sue forme. Tuttavia, penso che il pensiero non possa essere limitato. Il fascismo, ad esempio, si propose di “impedire a quel cervello – riferendosi a Gramsci – di funzionare per almeno vent’anni”. Nonostante il carcere, i continui spostamenti, le sue precarie condizioni di salute, le vessazioni e le privazioni quel cervello non smise mai di pensare e di produrre cultura. Oggi, Gramsci è studiato in tutto il mondo.

Perché i libri sono così importanti?

I libri sono il metodo migliore per non rimbambirsi davanti alla tv o ai social, creano coscienza critica, allargano la mente, scuotono il cervello, rompono la routine e sono un valido antistress. I libri sono l’unico antidoto per guarire questa disordinata società.

Qual è la tua lettura del 25 Aprile?

La Liberazione non va letta come un episodio isolato, ma nel suo rapporto da un lato con l’antifascismo che l’ha preparata e dell’altro con la Repubblica che da essa è nata. Per questi motivi acquista tutto il suo rilievo nella storia del nostro paese: il suffragio universale, l’espandersi delle organizzazioni operaie, contadine e sindacali, la nascita dei partiti popolari e così via. Attraverso la riflessione critica sul passato ritroviamo criteri di orientamento nel cammino che stiamo percorrendo e per le scelte che sono ancora nelle nostre mani.

La televisione tende a banalizzare i problemi del mondo e presenta le storie con un taglio culturale molto basso, quello giusto per parlare alla pancia della gente che non ha un pensiero critico.

A tal proposito, Marx, in tempi non sospetti, proferì: “ La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in generale sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale”. Dunque, la persuasione occulta svolta in primo luogo dalla TV, ha omologato i giovani provocando nevrosi e frustrazioni, ha inventato e inventa continuamente mode, propone bisogni non essenziali, aliene da ideali, programmi, propositi, tipici della civiltà dei consumi. Viviamo il tempo del capitalismo più aggressivo che può essere arginato solo con nuove forme di aggregazione e mutualismo. Socialismo o barbarie.

I partiti politici hanno sempre sottovalutato il potere che ha la Tv in un paese che non legge. Molta gente non ha letto il Gattopardo…

Chiusi il mio primo ciclo universitario con una tesi dal titolo “L’influenza della televisione e del cinema nelle politiche giovanili”. In questo studio sperimentale, confermai l’ipotesi di partenza: i media orientano le scelte elettorali in quella (grossa) fetta di popolazione che non sa discernere, criticare e catalogare le informazioni. Non a caso Berlusconi vinse le elezioni grazie alla (sua) TV, il M5S grazie ai social, Renzi con un populismo ibrido (quello che lascia intatto il sistema e che tanto piace agli industriali), Salvini con le fake news e con le dirette facebook in una politica che cambia continuamente santi e colori. Appunto, cambia tutto per non cambiare niente.

Bertold Brecht invitava tutti ad imparare, a non temere di porre domande, ad impugnare un libro che è più potente di un’arma per cambiare il mondo…

A Favara, ad esempio, manca una libreria. Evidentemente, il mercato non la richiede e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: non ci siamo più indignati, non ci siamo più incazzati ed abbiamo lasciato che certa sedicente politica scegliesse, per noi, il nostro futuro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ogni anno sono ben 5000 i siciliani tra i 18 e i 34 anni, molto spesso diplomati e laureati, che lasciano la Sicilia per prospettare il loro futuro e per riuscire a sviluppare opportunità di lavoro. Favara è uno dei paesi più colpiti dell’agrigentino e, infatti, la partecipazione ne risente fortemente. Ad esempio, ricordo che, nel 2012 si realizzò, una sorta di unione d’intenti basata su tematiche condivise fra le varie associazioni presenti sul territorio. Fu una stagione breve ma intensa di attività fra i quali ricordo la lotta contro la privatizzazione del Castello di Chiaramonte, l’opposizione all’installazione della cabina elettrica all’interno della scuola di via Olanda, l’impegno per la sottoscrizione dell’esposto contro la società Girgenti Acque S.P.A. con relativa protesta in consiglio comunale e l’organizzazione di alcuni eventi culturali. Eravamo veramente in tanti. In seguito, fondammo LiberArci per raccogliere questa eredità e credo che, in questi anni, siamo stati una delle poche voci fuori dal coro.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho appena concluso un lavoro di ricerca incentrato sullo sbarco degli americani in Sicilia e in particolare a Favara. Questo lavoro si pone l’obiettivo di sviscerare questa porzione di storia dal lato militare, sociale, politico e antropologico. C’è tanta carne al fuoco: i retroscena politici dello sbarco, i contatti fra le varie organizzazioni, l’arretratezza economica e sociale dell’isola, le precarie condizioni dei bersaglieri italiani, il facile sodalizio fra occupati e occupanti, il movimento dei “non si parte”, i profughi provenienti dal continente in Sicilia, il MIS e la parziale epurazione dei fascisti e tanto altro. Dopo aver sistemato e catalogato tutto questo materiale, ho ritenuto opportuno di interrogare le fonti orali, quei pochi ultraottantenni e novantenni del nostro paese che vissero in prima persona quei fatti. Tutte le persone da me consultate, dico tutte, hanno collaborato con un trascinante entusiasmo forse perché nell’immaginario collettivo, questo spaccato di storia locale, rappresentò il punto di svolta del nuovo corso del nostro paese e della nostra nazione. In molti mi hanno detto orgogliosamente “j c’era” come a rimarcare l’importanza di aver assistito direttamente ad un appuntamento imperdibile con la storia e che la mia penna potesse essere l’ultima occasione per raccontare quella Favara.

Riesi. Attraverso videomessaggi, racconti, storie, biografie e lettere su iniziativa dell’Anpi Sabato commemorazione sui social per la festa della Liberazione

 

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Giuseppe Calascibetta, referente dell’ANPI Riesi 

RIESI. Saranno ricordati sabato, in occasione della festa della Liberazione, dall’Anpi, tutti i partigiani, deportati e antifascisti riesini. Un’iniziativa nazionale dell’Anpi denominata“25Aprile#Iorestolibero”a cui stanno aderendo associazioni, istituzioni, Comuni. e cittadini. Sulla piazza virtuale internet verranno commemorati attraverso video messaggi, racconti, storie, biografie e lettere, quanti hanno lottato in
prima linea contro il fascismo. «Quest’anno, nel settantacinquesimo anniversario
della Liberazione – dice il referente locale dell’Anpi, Giuseppe Calascibetta – abbiamo bisogno più che mai di celebrare la nostra libertà, di tornare a guardare al futuro con
speranza e coraggio. Per questo vogliamo ricordare alcuni dei tanti riesini che hanno contribuito alla resistenza partigiana».
È possibile trovare le loro storie sulla pagina ufficiale facebook dell’ Anpi Riesi e nella pagina facebook e instagram dell’Anpi Sicilia. Verranno ricordati i partigiani Gaetano Butera,Filippo Calascibetta, Pietro Calascibetta, Salvatore Calascibetta, Fortunato Carlino, Giuseppe Chiarenza, Giuseppe Di Bella, Paolo Fonte, Calogero Imbergamo, Luigi Laurino, Angelo Perno, Giovanni Russo, Salvatore Savoca, Giuseppe Veneziano, Giovanni Sanfilippo, Antonia Lepore, Salvatore Marchese, Giuseppe Golisano, i deportati Giuseppe Albo, Giuseppe Azzolina, Giuseppe Balsamo, Calogero Di Piazza, Salvatore Giuliana, Giuseppe La Rosa, Giuseppe Porrovecchio, Salvatore Russo, Giuseppe Sessa, Pietro Toscano, Salvatore Terranova, Carmelo Boncore, Giuseppe La Rosa e, infine, gli antifascisti Filippo Baldacchino, Salvatore Ballaera, Giuseppe Buffone, Filippo De Bilio, Pietro De Bilio, Antonio Di Legami, Ferdinando Di Legami, Francesco Di Termini, Giuseppe Giabbarrasi, Carlo Marchese, Calogero Oliviero, Gaetano Pasqualino, Giuseppe Pesce, Diego Porrovecchio, Filippo Scroppo, Gaetano Sessa.

DELFINA BUTERA

Fonte: La Sicilia, Mercoledi 22/04/2020

Verso il 25 Aprile: Il ruolo delle donne nella Resistenza- Intervista a Claudia Cammarata

93798774_1081901268862803_223784975990784_n-720x675Il 25 Aprile si festeggia anche quest’anno nonostante il tentativo di inquinarne la memoria in un periodo di profonda fragilità del nostro paese. Con quella di oggi iniziamo una serie di interviste che possano ricordarne l’importanza, raccontare le iniziative virtuali che stanno nascendo per festeggiarlo anche da casa, e soprattutto gli insegnamenti da poter trarre in vista di quello che sarà un momento di ricostruzione del Paese dopo il grave momento che stiamo vivendo. Questo pomeriggio iniziamo con Claudia Cammarata che dal mondo dell’attivismo e associazionismo risponde alle nostre domande:

Perché l’antifascismo dovrebbe essere un valore per tutti i cittadini?

L’antifascismo è un valore per i cittadini e le cittadine ma più che altro è un modo di essere, di agire, di concepire la vita sociale, economica e politica di un Paese. Essere antifascisti significa essere irremovibili su quei principi di libertà e uguaglianza che sono alla base della nostra democrazia. E significa avere come punto di riferimento fermo e luminoso la nostra Costituzione, nata perché quella terribile esperienza non si ripeta mai più.

Pensi che ci sia una colpa di una parte della sinistra se oggi il 25 Aprile e l’antifascismo non è da tutti sentito allo stesso modo, oppure la responsabilità è solo di un destra che strizza l’occhio ed sentimenti nostalgici nei confronti del passato?

Penso che un mea culpa generale sia doveroso e anche necessario: probabilmente a sinistra abbiamo abbassato la guardia credendo che quei principi in cui – fortemente – crediamo fossero al sicuro e conquistati in maniera definitiva. I diritti e libertà di cui godiamo devono essere accompagnati dal dovere di difenderli ovunque sia necessario, in maniera costante e a qualunque costo. Le commemorazioni non sono sufficienti se la Memoria non diventa esercizio quotidiano, azione e proposta. Del resto il 25 aprile di 75 anni fa non fu forse l’inizio? Che sia ogni 25 aprile un momento per iniziare o per continuare.
Dall’altra parte conviviamo ancora e da sempre con una certa destra che più che strizzare l’occhio direi che è costruita su quei “valori” che l’antifascismo deve difendere e combattere. Questa destra negli ultimi anni ha visto allargare le basi del proprio consenso perché ha trovato il capro espiatorio ideale, questa volta gli immigrati, contro cui aizzare gli animi degli italiani, approfittando del malessere generale dovuto alla povertà in cui versano tante famiglie, all’alto tasso di disoccupazione giovanile, alla precarietà del mondo del lavoro. Una propaganda becera intrisa di odio e menzogne che ha scatenato una guerra tra poveri e creato molta confusione.

Da appassionata lettrice quale libro consigli per riscoprire il valore di questa giornata?

Consiglio “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. 8 settembre 1943-25 aprile 1945” curato da Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli. Sono le parole, le ultime, piene di dolore ma ferme e fiere che partigiani e patrioti catturati da fascisti o tedeschi rivolgono ai familiari. Alcuni consapevoli altri con il presentimento che verranno giustiziati a breve tutti vivono per la prima e ultima volta l’atroce esperienza di <>.

Essere antifascista ha un significato in più per una donna?

Certamente. Per le donne l’esperienza della Resistenza e della Liberazione ha rappresentato un momento cruciale. È stato un momento in cui, per usare le parole della partigiana Marisa Ombra “si sono rotte tante gabbie”: gli uomini hanno nuovamente imparato a vivere in libertà e per la prima volta lo hanno imparato anche le donne. Per coloro che hanno combattuto in prima linea il salto è stato enorme: vivere in banda insieme a dei ragazzi ha significato per tutti, anche per gli uomini, inventare nuovi modi di rapportarsi. L’esperienza della Resistenza ha gettato le basi per la liberazione della donna in toto, come singola e come membro di una collettività: subito dopo le donne hanno iniziato a votare e ad essere votate, hanno dato il loro importante contributo alla stesura della Carta Costituzionale. Si sono organizzate in partiti e associazioni e hanno messo al centro la questione femminile, questione che ben presto divenne politica. Sono diventate cittadine con dei diritti e dei doveri, doveri diversi da quelli di essere esclusivamente buone figlie, buone mogli e buone madri. Essere antifasciste significa per le donne far propri quei sentimenti di ribellione alla violenza, all’oppressione e ai “ruoli” prestabiliti. Significa aver consapevolezza di dover fare la propria parte nella società in cui viviamo.

Cosa ne pensi dell’idea dell’onorevole La Russa di sostituire il 25 aprile con il ricordo dei caduti di tutte le guerre e i virus compreso il Coronavirus?

Io penso che l’onorevole dovrebbe studiare qualche pagina di Storia, anche in un sussidiario delle scuole elementari. I tentativi di revisionismo da parte di certi personaggi della politica sono sempre ricchi di espedienti più o meno fantasiosi per gettare fango sulla Memoria e sul sangue di coloro che subirono torture indicibili e furono uccisi per permettere a questi personaggi, anche all’onorevole La Russa, di dire la propria. Non la chiamo “opinione” perchè il fascismo non è un’opinione ma un crimine.

In che modo vi state preparando per questa giornata nonostante il lockdown?
Con il direttivo territoriale dell’Arci (composto dal presidente provinciale Giuseppe Montemagno, da Roberta Lanzalaco dell’ Arci Strauss di Mussomeli, da Calogero Santoro de “I Girasoli” di Caltanissetta e dalla sottoscritta) abbiamo avviato l’iniziativa social “Percorsi di Resistenza”: un percorso tutto al femminile che ci accompagnerà fino al 25 aprile e oltre per riscoprire il ruolo delle donne all’interno della Resistenza. Attraverso il filo rosso della memoria arriveremo ai giorni nostri, in cui noi donne siamo chiamate quotidianamente a resistere contro la violenza e le discriminazioni. Un processo di liberazione iniziato il 25 aprile e per noi ancora in corso.
La campagna è partita sabato 18 aprile attraverso una serie di fotografie che ritraggono noi donne dell’Arci del territorio con in mano un cartello con gli hashtag #liberesempre #versoil25aprile #ComunqueResistenti. Nel giro di due giorni tantissime altre donne ci hanno seguite spontaneamente e molte altre sono state coinvolte. Volti, storie, esperienze diverse unite in un’unica voce: noi ci siamo, ricordiamo e resistiamo.

 

di Giulio Scarantino

 

Claudia Cammarata è presidentessa del circolo Attivarcinsieme di San Cataldo all’interno del quale ha costituito il Centro Culturale delle Donne “Felicia Bartolotta Impastato”, membro del direttivo provinciale dell’Arci e attivista dell’Anpi “Sandro Pertini” di San Cataldo.

Messina. La storia del partigiano Amerigo Zavan

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Amerigo Zavan. Treviso 10-11-1919/Messina 12-9-2007 (Uff. di complemento Artiglieria Sabaudia, partigiano Brigata Garibaldi, capo gruppo ricognitori del Servizio I. M. del Comando Militare del CLN della provincia di Treviso).
Il ten. Galliano Boccaletto, responsabile del Servizio Informazioni del CLN di Treviso e in contatto con il S.I.M. (Servizio informazioni militare) del Regno del Sud, medaglia d’argento al valor militare, elogia le sue staffette e i suoi ricognitori: Pietro Galante, responsabile dei collegamenti; Clementina Basso, Sandro Sartorello, Giuseppina Crosato e Gianni Zambelli (staffette); Amerigo Zavan capogruppo, Mario Dichiara e Sante Bovo ricognitori.
“E’ doveroso segnalare l’ottimo servizio svolto per lunghi mesi con grande senso di abnegazione e disciplina dalle staffette del S.I.M. Il loro sforzo, prodigato in silenzio giorno per giorno, permise all’organizzazione del servizio di mantenersi efficiente e proficua anche tra l’imperversare di rastrellamenti e persecuzioni. Non meno encomiabili, per grande spirito di sacrificio e volontà, sono gli elementi ricognitori del nostro servizio, ragazzi instancabili che hanno percorso senza formulare mai la minima obbiezione centinaia di chilometri in bicicletta, molto spesso sotto la pioggia invernale, per raggiungere le zone da perlustrare e rilevare quanto era loro ordinato. Spesso accadde che, superando le zone militari e interdette ai civili, fossero catturati e perquisiti centimetro per centimetro, con grandissimo rischio, dato che, quasi sempre
tenevano con loro schizzi, piante e note relative allo spionaggio. Segnaliamo quindi gli elementi che meglio si distinsero nei suaccennati servizi.
Propongo pertanto che ai suaccennati patrioti venga dato per iscritto il ben meritato elogio. Il responsabile del servizio
F/to Boccaletto Galliano
(Relazione di Boccaletto al Comando Militare Regionale Veneto del Corpo Volontari della Libertà, datata 15 maggio 1945, presente in Biblioteca Digitale Lombardia)

Calogero Boccadutri e l’antifascismo nel nisseno

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Calogero Boccadutri. Nato a Favara il 22 luglio 1907, morto a Caltanissetta il 17 luglio 1992. All’età di sette anni rimane orfano del padre, piccolo imprenditore che con i carretti trasporta merci e zolfo da e per la stazione di Aragona Caldara.

La circostanza alimenta una serie di rovesci familiari che lo costringono, unico maschio della famiglia, a lasciare la scuola per il lavoro: prima in miniera e poi nella costruzione di tratte ferroviarie. A diciassette anni, preso nel vortice dell’ambiente turbolento di Favara, viene coinvolto in un furto e preso in una delle retate del prefetto Mori. Sconta oltre sette anni di carcere duro. Da San Gimignano a Civitavecchia.

ln carcere matura la sua scelta di vita quando incontra i comunisti e tra questi Terracini che ne parlerà come di un comunista sobrio, attento e disciplinato. Aderisce al partito Comunista clandestino con il nome di Luzio e quando esce dal carcere nel ’31, prende i contatti con Salvatore (Totò) Di Benedetto componente del Centro lnterno del Partito a Milano. Costituisce le prime cellule a Favara e nella provincia di Agrigento.

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Pompeo Colajanni, Calogero Boccadutri e Leonardo Speziale. Festa dell’Unita presso la Villa Cordova di Caltanissetta. Anni 70.

ll Partito gli ‘chiede di trasferirsi a Caltanissetta per organizzare la rete clandestina in quella provincia dove si trasferisce tra molte difficoltà nel ’32. A Caltanissetta si collega dapprima con Pompeo Colajanni e Nicola Piave, figure note ai fascisti e fortemente controllati. Con le cellule comuniste clandestine, costituite nelle province di Caltanissetta e Agrigento, e la diffusione di documenti del Partito tesse una fitta rete composta da centinaia di compagni che alimentano l’attività antifascista: contadini, minatori, impiegati, studenti, e tra questi Emanuele Macaluso che lo seguirà sempre nei suoi itinerari, e, poi, Gaetano Costa, Gino Cortese, Leonardo Sciascia, il quale lo ricorderà sempre con sentimenti di amicizia e ne scriverà in alcuni scritti.

Mentre svolge il lavoro di copertura tra miniere e imprese di costruzioni stradali, tiene i collegamenti del centro della Sicilia con il Centro lnterno del Partito di Milano e con compagni di Reggio Calabria e Messina. Mantiene i rapporti con i compagni di Palermo, di Catania, di Trapani, Siracusa e Ragusa, tiene i collegamenti con i socialisti e con Giuseppe Alessi dei popolari di Caltanissetta e con gli antifascisti Guarino Amella e Pasqualino Vassallo. Nel giugno del ’43 incontra Elio Vittorini nel suo viaggio politico in Sicilia e in quell’incontro si stabiliscono le iniziative per abbattere il regime nazifascista e dare vita ad un governo popolare e democratico. Vittorini si informerà continuamente di Boccadutri e ricorderà sempre con commozione e affetto il suo incontro con “Luzio”.

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Calogero Boccadutri insieme a Leonardo Sciascia

Lo sbarco degli americani nel luglio del ’43 lo coglie mentre, dopo il convegno dei comunisti a Lentini, e diretto a Ravanusa per stampare I’appello insurrezionale di Lentini. Non potendo rientrare a Caltanissetta si dirige, a piedi, a Favara, il suo paese, e lì organizza il governo della città che accoglie gli americani, proponendo come Sindaco Salvatore Amico, valente artigiano favarese e figura esemplare di correttezza ed onestà. Nel frattempo impegnando la rete delle cellule del Partito organizza l’approvvigionamento alimentare di Favara che era rimasta senza.

Quando gli americani, con un pretesto, destituiscono il Sindaco Amico, organizza insieme ai compagni una manifestazione così imponente e determinata da costringere il comando americano a riconsegnare il governo del paese nelle mani del Sindaco Amico. Rientrato a Caltanissetta dopo qualche’ giorno, viene arrestato dagli americani e portato prima ad Agrigento e poi a Palermo all’Ucciardone.

Giuseppe Pistone, il partigiano di Agrigento

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Giuseppe Pistone nacque a Joppolo Giancaxio il 20/05/1920, secondo di sette figli, suo padre Domenico contadino ebbe una forte influenza sulle sue scelte future, riuscì fin da subito a trasmettergli i valori propri della tradizione contadina, e cioè il senso di giustizia e l’amore per il lavoro.
Dopo gli anni duri dell’infanzia e dell’adolescenza fu chiamato insieme ai fratelli Alfonso e Gaetano ad assolvere il servizio di leva militare durante la seconda guerra mondiale. Decise di combattere in prima linea con i partigiani nelle brigate Garibaldi tra Milano e Varese. Al suo ritorno ad Agrigento costituì la sezione provinciale dell’ANPI nella quale ricopri più volte la carica di Presidente. Fu chiamato dal prefetto Antonino Pancamo a far parte della Commissione prefettizia preposta a richiamare in servizio nella pubblica amministrazione coloro i quali avevano subito ingiustizie da parte del regime fascista. Inoltre fu tra i fondatori del partito socialista italiani nella citta dei Templi ed Antonio Bosco. Il suo impegno politico, prima nel PSI e poi nel PSIUP fu trasferito nella CGIL dove la sua esperienza professionale e sindacale al Comune di Agrigento dal 1948 al 1972.
Nel febbraio del 1977 a 56 anni sposo l’agrigentina Franca Meroni. Un anno dopo divento padre di Domenico, il suo unico figlio che oggi continua l’impegno politico e sindacale dell’illustre genitore. Giuseppe Pistone mori il 18.02.1991 ad Agrigento, citta che egli amò profondamente e dove operò con grande generosità ed impegno.

Lentinesi due eroi della Resistenza scampati alla fucilazione

Luigi Briganti, catturato dai tedeschi, dopo atroci torture, fu condannato a morte ma poco prima di essere ucciso venne liberato dai partigiani. Un altro suo compaesano, Salvatore Francesco Lazzara, comandante “Matteo”, si salvò per uno scambio di prigionieri

Ufficialmente furono 2459 i partigiani nati in Sicilia che parteciparono alla Resistenza in Piemonte, questi i dati per provincia di nascita: Agrigento 323, Caltanissetta 237, Catania 476, Enna 206, Messina 399, Palermo 277, Ragusa 144, Trapani 218, Siracusa 179). Questi partigiani furono riconosciuti subito dopo l’ordinato scioglimento delle formazioni partigiane, con il processo della smobilitazione e la consegna delle armi, il cui termine era stato fissato per il 7 Giugno 1945. La Commissione regionale piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane fu attiva a Torino tra il 1945 e il 1948 sotto la presidenza del generale Alessandro Trabucchi; essa venne istituita, con altre dieci Commissioni regionali, dal decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, n. 518, e vagliò e definì anche la posizione dei partigiani siciliani, parecchi dei quali però, non appena fu possibile, erano già partiti per i paesi di origine e non si curarono mai di ottenere un riconoscimento che in termini pratici non sarebbe servito a nulla e, pertanto, non si è lontani dalla realtà se si pensa che il numero dei partigiani siciliani in Piemonte abbia potuto superare anche le tremila unità.

La Civetta di Minerva, 1 dicembre 2017

Ufficialmente furono 2.459 i partigiani nati in Sicilia che parteciparono alla Resistenza in Piemonte, questi i dati per provincia di nascita: Agrigento 323, Caltanissetta 237, Catania 476, Enna 206, Messina 399, Palermo 277, Ragusa 144, Trapani 218, Siracusa 179). Questi partigiani furono riconosciuti subito dopo l’ordinato scioglimento delle formazioni partigiane, con il processo della smobilitazione e la consegna delle armi, il cui termine era stato fissato per il 7 Giugno 1945. La Commissione regionale piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane fu attiva a Torino tra il 1945 e il 1948 sotto la presidenza del generale Alessandro Trabucchi; essa venne istituita, con altre dieci Commissioni regionali, dal decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, n. 518, e vagliò e definì anche la posizione dei partigiani siciliani, parecchi dei quali però, non appena fu possibile, erano già partiti per i paesi di origine e non si curarono mai di ottenere un riconoscimento che in termini pratici non sarebbe servito a nulla e, pertanto, non si è lontani dalla realtà se si pensa che il numero dei partigiani siciliani in Piemonte abbia potuto superare anche le tremila unità.

Per quanto concerne la provincia di Siracusa la suddivisione dei 179 partigiani nei comuni di nascita vede quasi tutte i comuni rappresentati: in testa Noto con ben 24 Partigiani, seguita da Lentini 19, Siracusa 19, Floridia 16, Rosolini 16, Avola 14, Pachino 10, Palazzolo Acreide 10, Sortino 9, Melilli 8, Augusta 7, Buccheri 6, Canicattini Bagni 6, Carlentini-Pedagaggi 5, Francofonte 4, Ferla 2, Solarino 2, Buscemi 1, Priolo Gargallo 1. Cassaro e Portopalo di Capopassero nessuno

Tra i partigiani siracusani vi furono delle figure leggendarie, in particolare due partigiani di Lentini.

Salvatore Francesco Lazzara, nato a Lentini il 16 Maggio 1920, sottotenente di complemento a SettimoTorinese, proprio all’indomani dell’otto settembre del 1943 si attiva per organizzare la Resistenza assumendo, con il nome di comandante “Matteo”, il comando della formazione SAP (Squadre di Azione Patriottica) “Brigata Patria” della quarta divisione garibaldina, che operava nel quadrante orientale di Torino, con il compito di catturare e disarmare tedeschi e fascisti, con sabotaggi e attacchi. Una vita furtiva, con azioni fatte di sorpresa, per danneggiare il nemico e procurare armi e vestiario per i Partigiani della montagna.

Il 3 Marzo 1945 un adolescente portaordini partigiano, pestato a sangue, fa stanare dai brigatisti neri, in una casa di Settimo Torinese, il “comandante Matteo”, Salvatore Lazzara, l’introvabile sottufficiale siciliano. Arrestato e trasferito a Torino nella Caserma Cernaia, al Martinetto, e nella cella 417 delle Nuove, dovette subire tormenti e interrogatori. Il silenzio di quel partigiano di Lentini riservava comunque una fine annunciata, restando il dubbio tra il morire fucilato o impiccato, ma le SAP con i garibaldini della Patria catturarono Marisa, figlia di uno dei più alti gerarchi di Torino e proposero lo scambio dei prigionieri. Il 17 Marzo 1945, alla Caserma Cernaia, Don Paviolo, parroco di Settimo Torinese, consegnò la ragazza e si prese un Turi Lazzara che stava in piedi a mala pena.

Il partigiano Matteo rimase a Torino sino al 25 aprile del ’45 e, a Settimo Torinese, riprese il comando della sua brigata, liberando la città dalle Brigate Nere. Divenne il Primo Comandante Partigiano della Piazza di Settimo libera, formando la polizia del popolo in difesa della democrazia.

La città di Settimo Torinese non dimenticò quel valoroso partigiano ed il 25 Aprile 1981 conferì all’avvocato Salvatore Francesco Lazzara, “Comandante Matteo”, la cittadinanza onoraria, inoltre egli è stato insignito della Croce al merito di guerra e della medaglia d’argento al valor militare per l’eroismo dimostrato durante l’esperienza resistenziale. Non risulta che la città di Lentini o la Provincia di Siracusa, della quale è stato consigliere e poi assessore provinciale, lo ricordi in modo particolare.

Alla fine della guerra, rientrato in Sicilia, Lazzara si dedicherà con successo all’esercizio della professione forense. In particolare, sarà noto alle cronache nazionali per aver contribuito a risolvere il “caso Salvatore Gallo”, riuscendo a fare assolvere il suo assistito, già condannato all’ergastolo, ma accusato ingiustamente dell’omicidio del fratello Paolo, nel corso di un processo che, per il clamore nazionale che ebbe, porterà alla revisione della normativa penale.

Salvatore Francesco Lazzara morirà a Lentini, all’età di 86 anni, il 24 agosto 2006.

 

 

 

Luigi Briganti nato a Lentini il 24 Aprile 1924medico chirurgo, deceduto a Lentini il 5 Aprile 2006, nel 1959 gli fu assegnata la Medaglia d’oro al valor militare ed esattamente venti anni più tardi il Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli conferiva anche la decorazione di Cavaliere di gran croce. A queste importantissime onorificenze si aggiunge, a pieno titolo, anche quella di cittadino onorario della città di Casale Monferrato, nel marzo 1983, e della città di Alessandria il 25 Aprile 2003. A Lentini in Piazza della Resistenza un cippo commemorativo in memoria di Briganti, il partigiano “Fortunello”, è stato messo a dimora dal Kiwanis e dall’Istituto del Nastro Azzurro che da anni assegna il Premio M.O.V.M. Luigi Briganti.

Appena diciannovenne, nel maggio 1943, Luigi Briganti fu destinato al 64° Reggimento di fanteria ad Ivrea (TO) dove lo sorprese l’armistizio dell’8 Settembre 1943 ed allora, con molti altri commilitoni meridionali, lasciava la città giungendo nei pressi di Boves (Cuneo) ed ivi assistette all’incendio delle case appiccato dai tedeschi, all’atroce visione di un industriale e di un prete dati alle fiamme e all’eccidio di vecchi, donne e bambini, per cui molti di quei soldati decisero di diventare partigiani unendosi al comandante Rino Giuseppe Rigola.

Briganti, con il nome di battaglia di “Fortunello”, si vestiva da prete, da contadino, da donna e portava i messaggi agli altri comandanti partigiani, veniva spesso segnalato a Ciriè, Caselle, Caluso, Strambino, Ivrea e in quasi tutto il canavesano, nelle valli e a Torino ove era in contatto con il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale).

Da persona di Cigliano (Vercelli) venne fornita la fotografia del Briganti che fu diffusa a tutti i comandi tedeschi e italiani, sul suo capo fu posta una grossa taglia con l’ordine di sparargli a vista. Ai primi di marzo del 1944, nel corso di un’azione isolata, per reperire armi e munizioni, contro impianti militari nemici cadde prigioniero dei tedeschi che lo portarono nel carcere di Casale Monferrato dove subì inumane sevizie ad opera dei tedeschiVenne interrogato, ma non parlò, se lo avesse fatto avrebbe fatto crollare il movimento della Resistenza in Piemonte.

Il processo sommario fatto dai tedeschi fu una farsa, in pochi secondi fu condannato alla fucilazione alla schiena. La reazione di Briganti fu: “Non sono un bandito, io sono un partigiano. Dovete fucilarmi al petto.” La sera del 20 marzo ottenne di incontrarsi con un sacerdote suo amico di Livorno Ferraris (Vercelli) e nell’occasione gli consegnò una lettera da recapitare ai suoi genitori a Lentini. Lettera che non arrivò mai a destinazione perché Briganti il 21 marzo 1944, portato vicino ad un torrente per essere fucilato, venne liberato dai suoi compagni partigiani e, tradotto nel canavese, venne curato dall’ancora non celebre prof. Dogliotti e la lettera, a fine guerra, venne consegnata dal prete agli archivi partigiani di Torino. Mentre veniva portato dinanzi al plotone di esecuzione, in un vigneto del Monferrato, fu scattata la fotografia che ritrae un Briganti ancora sanguinante, non si sa chi abbia scattato la fotografia e come sia finita anch’essa negli archivi partigiani di Torino.

Arrestato una seconda volta, nel marzo del 1945, dai repubblichini fascisti, tramortito con i calci di moschetto e trascinato sulla neve per varie centinaia di metri legato ad in carro, venne tradotto a Torino dove non parlò, nonostante le atroci torture e gli interrogatori nella famigerata caserma di via Asti. Briganti sfuggi alla fucilazione perché venne prelevato dalle SS tedesche e portato all’ospedale di Mazzè (TO) dove venne scambiato con alcuni ufficiali tedeschi catturati dai partigiani in Valle d’Aosta. Il giorno della Liberazione, con le stampelle, salì su di un camion imbracciando un mitra e partecipò alla liberazione di Torino.

Tornato alla sua Lentini, Luigi Briganti abbracciò i genitori in lutto che da due anni non avevano sue notizie e lo credevano morto. Girò per anni da un ospedale all’altro, al nord e al sud, per le gravi violenze subite durante gli estenuanti interrogatori: bollato alle spalle con un ferro rovente a forma di croce uncinata, il mento, il setto nasale e alcune vertebre cervicali rotti a pugni, calci, colpi di moschetto, le unghie dei piedi strappate con le pinze, spilli nei genitali, sigari accesi spenti sul viso e così via, e poi il dormire con la luce accesa, gli incubi notturni che per anni lo svegliano mentre urla “I tedeschi, i tedeschi! Lasciatemi morire…”.

Il 14 novembre 1957 prende la laurea in medicina e svolge la professione con tale abnegazione da essere ancora ricordato nella sua Lentini come “il medico dei poveri”.

La lettera del diciannovenne Luigi Briganti, ragazzo del Sud, riflette quelle forti esperienze di storia da affidare alle doverose riflessioni dei figli del Duemila, essa recita: “Cari genitori, mai sono stato calmo come in questo momento; so che fra poche ore per me sarà finita per sempre. Sono contento di aver fatto il mio dovere per la patria immortale e per la guerra partigiana.

Contro i nazifascisti io non ho rimorso; ma l’avranno loro quando punteranno le armi contro di me per assassinarmi. Dò i miei diciannove anni alla patria e cadrò contento per questa nostra Italia di martiri e di eroi, sicuro che in un domani ritornerà la libertà a questo Nord Italia ove i tedeschi con l’aiuto dei fascisti di Salò spogliano le nostre industrie e portano via in Germania anche le rotaie ferroviarie e spargono il terrore tra il popolo.

Perdonatemi, papà e mamma, se vi ho fatto soffrire. Vi prego di non piangermi; stanotte per la prima volta mi sono confessato e comunicato, appagando il vostro desiderio; però convinto dell’esistenza divina. Vi raccomando il mio nipotino Filadelfo e insegnategli ad amare la patria con tutto il cuore e a seguire la via dell’onore. Sono cattolico e certamente, come il mio confessore mi ha detto, io che ho il corpo martirizzato, troverò conforto e la mia anima si unirà a quella degli altri miei compagni caduti per la libertà. Non ho tradito nessuno; avrei potuto salvarmi, ma al tradimento ho preferito la morte. Ricordo tutti i miei parenti e amici e desidero che il mio corpo venga portato al cimitero di Lentini. Bacio voi, papà e mamma, mia sorella, i miei nipotini, mio cognato. Pregate per me. Vi bacio forte, forte. Vostro indimenticabile figlio Luigi Briganti, “Fortunello della Garibaldi”. Valle di Lanzo. W l’Italia, W i partigiani. 20 Marzo 1944.”

Elenco completo dei 179 partigiani siracusani che ufficialmente risultano avere partecipato alla Resistenza in Piemonte; tra parentesi, per coloro che lo hanno adottato, il nome da partigiano.

 

Provincia di Siracusa

Nominativi   N.
1.  Augusta 1. Amenta Carmelo (Carmelo), 2. Cacciaguerra Salvatore, 3. Cassolini Corrado (Corrado), 4. Gaviano Salvatore (Rene), 5. Italio Giuseppe (Tom), 6. Liggeri Carlo, 7. Strambio Giuseppe (studente sedicenne) 07
2.  Avola 1. Accardi Arturo, 2. Alicata Francesco (Rossini), 3. Carbè Andrea, 4. Caruso Paolo (Moro), 5. Coletta Giuseppe, 6. Dinatale Salvatore, 7. Esposito Vincenzo, 8. Greco Antonio (Nerone), 9. Guaiana Francesco (Carlo), 10. Rametta Giuseppe (Pepe), 11. Rossitto Paolo, 12. Rossitto Sebastiano, 13. Sangregorio Giuseppe, 14.Tarantello Giuseppe (Peppino) 14
3.  Buccheri 1. Alderuccio Giacomo, 2. Calisti Giovanni (Tino), 3. Ciurcina Gaetano (Tano), 4.Montalto Vincenzo (Enzo), 5. Paternò Franco, 6. Tamburino Gaetano 06
4.  Buscemi 1. Santoro Salvatore (Siracusa)

01

5.  Canicattini Bagni 1. Basile Arturo, 2. Ciarcià Sebastiano, 3. Gallo Salvatore Giovanni (Tore), 4. Giangravè Paolo (Marte), 5. Leone Sebastiano (Leone), 6. Lombardo Salvatore (Binoccolo) 06
6.  Carlentini – Pedagaggi 1. Caniglia Antonio (Totò), 2. Guiga Cirino, 3. Sortino Angelino (Gino Carlentini -Pedagaggi), 4. Teffi Giovanni, 5. Trigilio Sebastiano (Carlentini-Pedagaggi) 05

7.  Cassaro

//

//

8.  Ferla 1. Castellino Giuseppe (Pizzo), 2. De Marco Michelangelo 02
9.  Floridia 1. Alagona Gaetano (Ivan), 2. Alicata Salvatore, 3. Bazzano Paolino (Paolino),4. Belcuore Salvatore (Tani), 5. Catinella Salvatore (Ulisse), 6. Latina Francesco(Terenzio 35), 7. Lo Giudici Salvatore (Principe), 8. Oddo Giuseppe (Beppe), 9. Raolino Salvatore, 10. Raulino Salvatore (Professore), 11. Romano Angelo (Angelo), 12. Romano Salvatore (Dora), 13. Sortino Emilio, 14. Sortino Nino (Nino Barone), 15. Spagna Giuseppe (Fido), 16. Tarantello Santo (Leone)  

16

10. Francofonte 1. Cunsolo Giuseppe (Fieramosca), 2. Nucera Giuseppe (Jack), 3. Sparaccino Domenico Carmelo (Carmelo), 4. Vassallo Giacinto 04
11. Lentini 1. Alcamo Rosario (Ettore), 2. Briganti Luigi (Fortunello), 3. Calabrese Vincenzo(Siculo), 4. D’Amico Vincenzo (Mosca), 5. Ferrara Carlo, 6. Guercio Antonio (Cornasci), 7. Guerrino Concetto, 8. Gullifa Guglielmo, 9. Italia Filadelfo (Napoleone), 10. La Ferla Antonino (Brunetto), 11. Lazzara Salvatore Francesco (Matteo), 12. Marino Salvatore (Toto), 13. Mollica Luciano (Luciano Mollica), 14. Pattavina Luciano (Addu), 15. Russo Francesco (Lupo), 16. Saccuzzo Paolo (Paolo), 17.Scarrozzo Luigi (Pippo), 18.Sipione Rosario, 19.Zarino Andrea (Andrea) 19
12. Melilli 1. Andolina Sebastiano (Nello), 2. Belfiore Vincenzo (Augusta), 3. Di Stefano  Vincenzo, 4.Magnano Gaetano (Rodolfo), 5.Marchese Antonino,6.Piruccio Giuseppe (Verde), 7. Riggio Giuseppe (Gino – Melilli Villasmundo), 8. Scirpo Paolo (Paolo) 08
13. Noto 1. Amato Corrado (Carburo), 2. Arfo Jole (1^ Partigiana), 3. Casalino Giuseppe (Ranuccio), 4. Cassolini Santo, 5. Costanzo Salvatore (Cevernia), 6. Di Blasi Vincenzo (Enzo), 7. Drammi Giuseppe (Pierpaolo Calvo), 8. Firera Carlo (Gianni), 9. Garofalo Salvatore (Oliviero), 10. Gravarelli Ferdinando, 11. Grienti Ernesto (Bocetta), 12. Grienti Umberto (Berto), 13. Inga Francesco, 14. Inga Giuseppe, 15. Inga Lorenzo Alberto, 16. La Rosa Navarra Francesco, 17. Lombardo Giuseppe (Andrea Vesuvio), 18. Lucretti Franco (Maur), 19. Maugeri Giuseppe (Caduto),20. Meli Francesco, 21. Pisana Vincenzo, 22. Salemi Luigi (Gimmi), 23. Scarso Biagio (Giovanni), 24. Vinci Paolo (Primo) 24
14. Pachino 1. Agnello Corrado, 2. Agnello Corrado (Corrado), 3. Barbato Pasquale, 4. Di Martino Antonio (Claudio), 5. Garofalo Francesco (Franco), 6. Girmenia Giuseppe (Caduto), 7. Rosa Salvatore, 8. Scrofano Alessandro (Orlando), 9. Sessa Corrado (Vigiu), 10. Sessa Paolo  

10

15. Palazzolo Acreide 1.Belluardo Ignazio,2.Bologna Vincenzo (Sicilia),3.Burgio Giovanni,4.Di Domenico Paolo (Piero), 5. Di Giorgio Vincenzo (Renzo), 6. Giliberto Santo (Caramba provenienza Carabiniere), 7. La Pira Salvatore (La Pira), 8. Magro Sebastiano,9  Musso Sebastiano (Siro), 10. Vinci Paolo (Tino – provenienza Guardia di Finanza) 10
16.Portopalo di Capopassero // //
17. Priolo Gargallo 1. Di Mauro Vincenzo (Pelzo) 01
18. Rosolini 1. Agosta Luigi Dolcino (Renzo), 2. Aprile Salvatore (Totila), 3. Basile Luigi (Meo), 4. Forieri Luigi (Alfio), 5. Gennarino Corrado (Rino), 6. Gennarino Giovanni, 7. Gennarino Giuseppe (Pino), 8. Lavra Matteo (Matteo), 9. Lorefice Salvatore (Bruno), 10. Mancuso Francesco (Mancuso), 11. Moncada Giuseppe (Giuseppe),12. Papaleo Federico (Leo), 13. Papaleo Giorgio (Caduto), 14. Papaleo Giovanni (Cane), 15. Sortino Salvatore (Corrado), 16. Zagarella Corrado (Nino) 16
19. Solarino 1. Carpentieri Salvatore (Fanfulla), 2. Emanuele Sebastiano (Iulo) 02
20. Sortino 1. Adorno Vincenzo (Vincenzo), 2. Barresi Giuseppe (Napoleone), 3. Bellomo Giuseppe (Pippo), 4. Bongiovanni Francesco (Francesco), 5. Buccheri Sebastiano (Bartolo), 6. Di Mauro Carmelo (Fontana), 7. Di Mauro Salvatore (Moro), 8. Puglisi Giovanni, 9. Spinoso Enzo (Oscar) 09
21. Siracusa 1. Amore Giuseppe (Sicilia), 2. Berarlino Domenico (Baraba), 3. Bramante Vivald (Ivan 1^), 4.Cappuccio Sebastiano (Janni), 5. D’Aquila Angelo (Caduto), 6. D’Aquilo Angelo (Caduto), 7. De Luca Concetta Di Stefano (2^ Partigiana), 8. Di Stefano Anna Maria (Bassottina – 3^ Parigiana), 9. Di Stefano Sebastiano, 10. Di Stefano Tommaso (Dottore Bassotto), 11. Di Stefano Vincenzo, 12. Franciosi Carlo (Corbes), 13. Giannone Piero (Tripoli), 14. La Terra Vincenzo (Lino), 15. Pace Antonio (Siracusa), 16. Piazza Giuseppe (Siracusa Belvedere), 17.Senatore Manfredi (Ultimo), 18. Spilotri Arturo (Sesia), 19. Varano Raffaele (Pietro) 19
Totale Provincia di Siracusa I partigiani siracusani che parteciparono alla Resistenza in Piemonte furono 179 179
Fonte: La Civetta di Minerva, 1 dicembre 2017

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Francesco Villari, la storia di un partigiano di Gela

francesco villari

La lapide posta nel Piazzale Marsala a Parma, ricorda tra le vittime dell’eroica resistenza il S.Tenente Francesco Villari di anni 20, decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria, con Decreto Presidenziale dell’11 febbraio 1963.

 

Francesco Villari nato a Gela il 20.05.1923 Sottotenente Scuola applicaz. fanteria – decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare – Alla memoria, con Decreto Presidenziale dell’11 febbraio 1963. Il combattimento, rapido e intenso, si concluse con la sconfitta dei nostri mezzi corazzati; nello scontro furono uccisi sei carristi italiani, uno dei carri armati italiani fu distrutto vicino al Ponte e un altro precipitò nel greto della Parma. La mattina seguente, 9 settembre 1943, la città era ormai sotto il pieno controllo dei tedeschi.

Encomio: «Ufficiale frequentatore della scuola di applicazione di fanteria, avuto sentore, mentre si trovava nella propria abitazione, che l’unità tedesca stava attaccando l’Istituto, noncurante del pericolo accorreva prontamente per intervenire nella lotta. Giunto nei pressi della Scuola, accortosi che essa era completamente accerchiata, con generoso slancio si univa ad un nostro reparto corazzato che, non lontano, combatteva contro soverchianti forze tedesche. Nell’aspra e cruenta lotta, combattendo fianco a fianco con i carristi, si distingueva per indomito valore e ardimento. Cadeva poco dopo, colpito da una raffica di mitragliatrice. «Fulgido esempio di predare virtù militare».                                      (Parma, 9 settembre 1943)

a cura del Comitato Provinciale ANPI Caltanissetta

Chi era Mauro Zito, il partigiano madonita “Palermo”?

mauro zito grande

Mauro Zito è nato il 29 aprile del 1923 a San Mauro Castelverde, nelle Madonie. È stato Partigiano della 105^ Brigata Pisacane, ufficialmente dal 15 giugno 1944 al 5 maggio 1945, come attestano i documenti, da lui conservati. Il suo nome di battaglia era “Palermo”. Ho avuto la fortuna di conoscerlo grazie a Giuseppe Spallino, giovane collega e amico madonita, serio e generoso, che per la sua voglia di sapere e di raccontare, lo ha scovato, per ironia della sorte, nel suo paese, Castelbuono, volendo condividere con me questa grande emozione. Adesso Madonielive, dona a voi l’emozione e la conoscenza di uno degli ultimi partigiani siciliani, madonita, compagno del mitico Barbato (Pompeo Colajanni), ancora sconosciuto a molti. A Cefalù Giovanni Cristina lo ha onorato, come ci racconta Mauro Zito, dicendo “Giovanni mi vuole bene”.

Quando è partito per la Guerra e come avviene l’ingresso nella Brigata Pisacane?

Il brevetto di partigiano di Mauro Zito
Sono partito per la guerra per raggiungere Torino. Dopo un mese sono stato portato a Pinerolo nella scuola di applicazione di Cavalleria. Lì ho studiato per pilota di autoblindi. Ho preso la patente. Sono stato a Pinerolo, a Cavour, sempre in Piemonte. Con l’Armistizio ci fu lo sbandamento dell’esercito e così siamo scappati. I piemontesi ci hanno accolto, ci hanno dato ospitalità, per ricompensa abbiamo fatto dei lavori in cambio del rifugio. Per qualche giorno andammo avanti così. Si era formata una squadra di Partigiani. Il comandante era Barbato, Pompeo Colajanni. Barbato ci disse:“Ragazzi io vado in montagna”. Era un siciliano come noi. Ci voleva bene a tutti. “Chi mi vuole seguire mi segua, ma chi non vuole niente. Ma badate che la cosa la faremo seria.” Eravamo un gruppo di cinque o sei soldati siciliani e ci tenevamo in contatto tra di noi per le campagne piemontesi. Apprendemmo che i tedeschi stavano avanzando erano quasi arrivati in Piemonte. Noi avevamo paura di finire prigionieri e deportati in Germania. Così abbiamo mandato uno dei nostri amici a parlare con lui, per arruolarci nella Brigata . Lui ci disse di si. Lui era nella zona di Montoso. Lo raggiungemmo e nella stessa notte ci portò in montagna. Giunti lì trovammo tre partigiani, uno dei quali era l’onorevole socialista Pietro Nenni. Appena fummo in casa mettemmo la pentola per la pasta. Nenni non aveva la cavetta e perciò non aveva dove mettere la pasta. Io gli offrii la mia, dicendo che avrei mangiato nel coperchio. Ma lui mi disse: “No! Tu mangia nella cavetta, a me basta il coperchio”. E mangiò la pasta nel coperchio della mia cavetta. Siamo stati così tre giorni insieme a Barbato e a Pietro Nenni. L’indomani non avevamo ancora nulla da mangiare. Avevamo un cavallo. Nenni disse a Barbato:“Uccidiamo il cavallo e lo mangiamo”. Così per la prima volta mangiai la carne di cavallo. Pietro Nenni andò via e Barbato rimase con noi. Quello che pensavo io ed anche i miei compagni era che la guerra stesse per finire. Pensavamo che presto con l’arrivo degli Americani tutti saremmo tornati a casa. Invece non fu così perchè la Resistenza durò abbastanza., come sapete. Noi non volevamo combattere, ma fare solo piccole azioni di sabotaggio per i tedeschi e i fascisti italiani. Mussolini formò la Repubblica fascista, la Repubblica di Salò. Noi partigiani cercavamo di procurare dei guasti a loro. Per esempio rompevamo le linee telefoniche, qualche ponte. Noi eravamo organizzati e addestrati. Loro non erano abituati alla lotta partigiana e così li fregavamo. Per esempio arrivavano coi loro camion cantando, scendevano dal camion e noi aspettavamo che arrivassero vicino a noi. Noi avevamo le mitraglie di 20 mm e altre mitraglie. Appena erano vicini noi li attaccavamo e giustamente succedeva un macello. Così i fascisti presto capirono che prima di avvicinarsi dovevano prendere degli ostaggi. Così quando arrivavano in un paese vicino, prendevano i civili e se li mettevano davanti per farsi scudo. Allora noi non potevamo più sparare perchè se no avremmo ucciso gli ostaggi. Così preferivamo tagliare la corda e andare in montagna. Per venti mesi durò la lotta partigiana. La cosa divenne sempre più sentita. Si arruolavano sempre più partigiani. Poi sono intervenuti gli americani che ci mandarono viveri, cibo, soldi, armi e munizioni e una mitraglietta che col caricatore sparava trenta colpi. E intanto la lotta continuava.
Durante questi venti mesi, a un certo punto i nostri comandanti decisero di dare il colpo decisivo. Così cominciammo a nasconderci sulle montagne del Piemonte. Noi avevamo deciso o morte o sorte. La mia era la 105^ Brigata d’assalto Carlo Pisacane. La lotta definitiva portò i tedeschi a fuggire e a ritirarsi. Purtroppo i nostri morti furono tanti. Il mio gruppo era fatto di 25 partigiani. Liberammo Pinerolo. Di venticinque ne morirono otto. Il comandante ci comunicò che da Torino chiedevano rinforzi. Allora lui ci chiese chi voleva andare. Io fui il primo a dire si. C’era un camioncino. Salimmo su e partimmo in quindici. Arrivammo all’incrocio della Via Stupinigi e lì c’era la colonna dei tedeschi che si ritirava. Ci fermammo chiedendoci cosa fare. C’era un piccolo spazio fra noi e i tedeschi allora dissimo all’autista di accelerare e passare. Siamo arrivati a Torino. Con armi e bandiere in mano. A Torino presimo d’assalto le caserme coi tedeschi.
Di quell’epoca avevo la camicia rossa che purtroppo non ho più. Era di un rosso vivacissimo.Dopo che siamo arrivati a Torino, a Pinerolo c’erano altri tredici compagni che chiamammo a Torino in aiuto. Anche loro su un camioncino al fatidico incrocio di Corso Stupinigi, hanno tentato di passare la colonna tedesca ancora lì, ma li hanno attaccati e massacrati tutti e tredici. Hanno fatto una cosa da vigliacchi perchè oltre ad ucciderli li hanno, sfigurati. Io ricordo ancora quella sera quando andammo a prendere i cadaveri erano irriconoscibili. Liberammo così Torino e così noi partigiani fummo costretti a tenere l’ordine pubblico perchè non c’era nessuno che facesse mantenere l’ordine. Noi avevamo liberato al città e dovevamo anche far tenere l’ordine pubblico. Rimasi un mese lì. Io volevo arruolarmi nella polizia ferroviaria. Avrebbero dato un posto statale a tutti i partigiani. Sono stato un mese a fare il servizio di ordine pubblico, nella polizia ferroviaria. Ci hanno detto: ragazzi potete restare, ma chi vuole tornare a casa può andare”. Io avevo lasciato mia moglie in Sicilia. Mi ero sposato quaranta giorni prima di partire per la guerra. Le avevo mandato un messaggio con la Croce Rossa Italiana. Un messaggio di due parole: “Sono vivo” Non potevo scrivere di più. Se i tedeschi vedevano qualche parola in più non recapitavano il messaggio. Lei mi disse poi che lo ricevette. Insomma io rinunciai al posto in polizia. Mi dicevano che se volevo rimanere lì non dovevo tornare a casa. Non sarei certo tornato presto a casa. Prendemmo la decisione comune coi compagni siciliani di tornare a casa.

brevetto-di-Partigiano-Mauro-Zito - firme di le firme di Ferruccio Parri, Raffaele Cadorna, Luigi Longo, Giovanni Battista Stucchi, Enrico Mattei e Mario Argenton

Mi racconta l’arrivo a casa, da sua moglie?
Mia moglie pensava che fossi morto, perchè i reduci erano ritornati tutti e io non arrivavo, lei si chiedeva se fossi morto e lo temeva. Prima di tornare a casa ci diedero dei vestiti nuovi. Era maggio. Arrivai in treno alla stazione di San Mauro e presi la corriera per arrivare in paese. Appena arrivai in paese, ero carico di valigie, perchè mi avevano dato tanta biancheria, vestiti. Avevo valigia, zaino e zainetto. Mi aiutarono e lì c’era un mio vicino di casa che mi vide e mi riconobbe. Corse verso casa a chiamare mia moglie e mia sorella, per annunciare il mio arrivo(la voce è rotta dall’emozione n.d.r.). Da quel giorno rimasi a San Mauro. Mi misi a lavorare lì per tre anni e poi emigrai a Cefalù. Lì ho messo su un allevamento di polli. L’ho fatto per tanti anni. Poi è diventato complicato con le nuove leggi e abbandonai questo lavoro e ho fatto l’operaio forestale, nella squadra antincendio del Comune di Cefalù, fino alla pensione. Ho comprato un pezzo di terra e mi dedicavo ai frutti della terra..

Ma lo Stato italiano non ha dato privilegi a voi partigiani?
Come partigiani ci toccava il posto statale. Potevo rimanere nella polizia ferroviaria. Come militare ci dava mille lire al giorno. Io rinunciai al posto, scegliendo l’amore. Pensavo a mia moglie che avevo lasciato dopo 40 giorni di matrimonio per partire per la guerra. Ho avuto tre figli. Due vivono a Cefalù ed una vive proprio in Piemonte(la terra che il partigiano Palermo ha contribuito a liberare n.d.r.).

Ricorda gli altri partigiani siciliani?
Ricordo un certo Sebastiano Bucchieri. Noi ci eravamo promessi di rivederci tutti quanti insieme(l’emozione è forte n.d.r.), ma non è successo purtroppo. Ricordo un compagno di Caccamo, lo feci cercare anche da mio figlio, anni fa, ma nessuna notizia. Voglio dirvi che sono contento di avere partecipato alla vita Partigiana perchè ci credevo a quello che facevo contro i tedeschi e contro la dittatura di Mussolini, io ero per la democrazia e non per la dittatura.

Mirella Mascellino Giuseppe Spallino
per MadonieLive.com – domenica 3 luglio 2011