Partigiani Agrigento e provincia

salvatore cacciatore

Salvatore Cacciatore, nato ad Aragona il 23 marzo del 1920, Salvatore Cacciatore venne dato per disperso in guerra nel mese di giugno del 1943. Dall’inizio del 1944 era invece impegnato nella Resistenza all’occupazione nazifascista. Operava nella zona di Perarolo come comandante del distaccamento “Willy” della brigata “Nino Bixio” che faceva parte del battaglione “Gramsci”.
La famiglia, che per anni lo crederà disperso in guerra, si era trasferita a Caltanissetta nel 1940. A Caltanissetta il partigiano “Ciro” tornò dopo essere stato gravemente ferito in Tripolitania e qui conobbe la giovane donna che avrebbe dato alla luce suo figlio. Un bambino che Salvatore Cacciatore non avrebbe mai conosciuto. Dovette ripartire, destinato dall’Esercito al Centro addestramento carristi di Cordenons, a pochi chilometri da Pordenone.
Entrato nella Resistenza, la lotta di liberazione per lui si concluse tragicamente con l’impiccagione ad un lampione della piazza di Belluno a seguito della delazione di una collaborazionista. Catturato il 12 febbraio 1945 dai nazisti, venne rinchiuso in una caserma della Gestapo, costretto a subire pesanti torture per più di un mese senza mai cedere. Il 17 marzo muore nella piazza Cambitello (conosciuta oggi Piazza dei Martiri)  insieme ad altri partigiani: Giuseppe De Zordo, Valentino Andreani e Gianni Piazza.

 

Raimondo Savarino. Nato a Licata (Agrigento) nel 1923, fucilato a Borzonasca (Genova) il 21 maggio 1944. Chiamato alle armi durante la Seconda guerra mondiale, il ragazzo combatté col 241° Reggimento Fanteria “Imperia”. Ferito in Grecia nel giugno del 1943, Saverino fu rimpatriato e, quando si fu ristabilito, assegnato ad una compagnia del reggimento, di stanza alla caserma “Piave” di Genova. All’annuncio dell’armistizio, il ragazzo si portò sulle alture di Genova. Raggiunti i primi partigiani della brigata «Cichero», che si andava costituendo al comando di Vincenzo Canepa (“Marzo”), e che sarebbe in seguito diventata la III Divisione Garibaldi, il ragazzo, assunto il nome di battaglia di «Severino», si distinse subito per il suo coraggio. Catturato una prima volta dai tedeschi durante un rastrellamento, riuscì a fuggire e a tornare alla sua formazione. Il 21 maggio del ’44 “Severino” cadde di nuovo nelle mani dei nazisti, che lo catturarono sui monti della Rondanara, sopra Chiavari. Torturato e invano interrogato perché desse ai tedeschi informazioni sulla Resistenza ligure, fu caricato su un camion e portato sulla piazza principale di Borzonasca. Qui i nazisti lo fucilarono di fronte alla chiesa del paese. Il corpo senza vita del primo caduto della “Cichero”, rimase tre giorni sulla piazza a scopo intimidatorio. In sua memoria, i partigiani liguri crearono la «Volante Severino», che avrebbe valorosamente combattuto sino alla liberazione di Genova. Oggi a Borzonasca la piazza è stata dedicata a Raimondo Saverino ed un monumento lo ricorda sulla facciata del Municipio.

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Vittoria Giunti. Nata a Firenze il 14 dicembre 1917, deceduta a Raffadali (Agrigento) il 3 giugno 2006, docente di Matematica, deputata alla Costituente, prima donna eletta sindaco in Sicilia. Figlia di un funzionario delle Ferrovie dello Stato, Vittoria Giunti durante l’occupazione nazista si trovava a Roma. Entrata nella Resistenza accanto all’amico Salvatore Di Benedetto, che sarebbe diventato il compagno della sua vita, Vittoria Giunti (che ha insegnato Matematica all’Università di Firenze), non è mai venuta meno al suo impegno politico. Durante la Costituente si è spesa perché venisse esteso alle donne il diritto di voto cosa che avvenne per la prima volta, dopo l’accordo Togliatti-De Gasperi, il 2 giugno 1946. Nel dopoguerra la Giunti ha anche diretto la Casa della Cultura a Milano ed è stata direttrice della rivista femminile Noi Donne. Nel 1956 è stata eletta nell’agrigentino (prima donna in Sicilia), sindaco di Santa Elisabetta. È mancata proprio il giorno dopo della Festa della Repubblica. Su di lei e sulle sue battaglie per la democrazia italiana, nel 2009 è stato pubblicato il libro di Gaetano Alessi dal titolo: L’eredità di Vittoria Giunti.

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Salvatore Di Benedetto. Nato a Raffadali (Agrigento) il 19 novembre 1911, deceduto a Raffadali il 1° maggio 2006, insegnante, parlamentare e dirigente comunista.
Nato in una facoltosa famiglia di Raffadali, a 18 anni, prima ancora di laurearsi in Giurisprudenza, sceglie la strada dell’antifascismo. Nel 1935, mentre a Siracusa svolge il servizio militare, Di Benedetto è arrestato dalla polizia. Processato, sconta sei anni tra carcere, confino a Ventotene e lavori forzati in Africa orientale. Quando torna in libertà, si trasferisce a Milano. Qui riprende l’attività politica, collaborando con la direzione nazionale del Partito comunista e con l’Unitàclandestina, insieme a Elio Vittorini, Renato Guttuso, Mario Alicata, Pompeo Colajanni, Pietro Ingrao, Ernesto Treccani, Gillo Pontecorvo, Celeste Negarville, Gian Carlo Pajetta e Giansiro Ferrata. Salvatore Di Benedetto fu uno dei promotori e protagonisti della grande manifestazione di Milano del 25 luglio 1943, in seguito alla caduta del fascismo. Arrestato con Vittorini e Ferrata, è rinchiuso per diversi giorni, prima nel carcere di Varese e poi in quello di San Vittore, a Milano. Rilasciato dopo l’8 settembre del ’43, Salvatore Di Benedetto è tra gli organizzatori della Resistenza in Lombardia, in stretto contatto con Luigi Longo, prima occupandosi del giornale delle formazioni partigiane, intitolato Il combattente, e successivamente come ispettore delle Brigate Garibaldi, con compiti di collegamento e di trasmissione di direttive e di informazioni. Trasferitosi a Roma su incarico del PCI, assume il nome di battaglia di Aurelio, operando nei Castelli Romani e nel Ternano. Nel corso di un’azione di guerra a Tivoli è gravemente ferito al volto. Una ferita devastante, ma all’ospedale lo riconosce e lo assiste la partigiana Vittoria Giunti, che diventerà poi la compagna della sua vita. Dimesso, “Aurelio” riprende la lotta fino al la Liberazione. Nel 1946 rientra a Raffadali. Grande invalido, dal 1954 al 1987 Di Benedetto è sindaco del suo paese e, per diverse legislature, parlamentare comunista. Punto di riferimento per generazioni di politici e di amministratori locali, Salvatore Di Benedetto ha dedicato gli ultimi anni alla scrittura (suo il libro-diario Dalla Sicilia alla Sicilia), alla testimonianza, alla difesa dei valori di solidarietà, di giustizia e di libertà, non mancando mai alle manifestazioni per il 25 aprile e per il 1° maggio. All’ultima, il suo feretro era nella camera ardente della Biblioteca comunale di Raffadali: sfilandovi davanti, la popolazione di Raffadali e della provincia gli ha reso omaggio.

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Calogero Marrone nasce a Favara, in Sicilia il 12 maggio 1889. Nel 1931 si trasferisce in Lombardia con la moglie e i quattro figli, dopo aver vinto un concorso per applicato comunale a Varese. Dopo pochi anni, per le sue elevate capacità professionali e per la sua dedizione al servizio pubblico, diventa capo dell’Ufficio anagrafe di Varese. In questa veste, durante l’occupazione nazifascista, Marrone (che faceva parte del gruppo partigiano “5 Giornate del San Martino”), rilascia centinaia e centinaia di documenti d’identità falsi a ebrei e antifascisti, che in quel periodo cercavano di attraversare il confine svizzero, permettendo loro di salvarsi.
Tradito da un delatore, non vuole fuggire in Svizzera, nonostante don Luigi Locatelli canonico della Basilica di San Vittore, l’avesse avvisato dell’imminente arrivo dei nazisti.

Il 7 gennaio 1944 viene arrestato da ufficiali della Guardia di Frontiera tedesca e torturato nel carcere di Varese, ma non rivela nulla ai suoi carnefici. Trasferito da un carcere all’altro, dopo una sosta nel lager di Bolzano-Gries, viene portato nel campo di sterminio di Dachau, dove muore, ufficialmente di tifo, il 15 febbraio 1945.

Segretario della locale Sezione combattenti e reduci del paese agrigentino come sergente della prima guerra mondiale, Calogero Marrone non si era trasferito a Varese semplicemente per lavoro, ma soprattutto perché il suo antifascismo era inviso ai notabili del paese. Fu anche incarcerato per alcuni mesi per aver rifiutato l’iscrizione al Partito nazionale fascista.

A Varese, davanti all’Ufficio Anagrafe di Palazzo Estense, c’è una targa che lo ricorda.

Nel gennaio 2003, nella Giornata della Memoria, tre querce sono state messe a dimora nel Parco di Monte Po a Catania. Gli alberi sono stati dedicati, oltre che a Calogero Marrone, anche a Giorgio Perlasca e a Giovanni Palatucci, riconosciuti Giusti tra le Nazioni.

Il 19 febbraio 2005, a Biumo Inferiore, vicino a Varese, è stata inaugurata una piazzetta a suo nome.

La sua storia è stata raccontata dai giornalisti Franco Giannantoni e Ibio Paolucci nel libro Un eroe dimenticato, uscito nel 2002 per le Edizioni Arterigere di Varese.

A gennaio 2013 la Commissione dei Giusti di Yad Vashem ha assegnato a Calogero Marrone il titolo di Giusto tra le Nazioni.

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Giuseppe Pistone nacque a Joppolo Giancaxio il 20/05/1920, secondo di sette figli, suo padre Domenico contadino ebbe una forte influenza sulle sue scelte future, riuscì fin da subito a trasmettergli i valori propri della tradizione contadina, e cioè il senso di giustizia e l’amore per il lavoro.

Dopo gli anni duri dell’infanzia e dell’adolescenza fu chiamato insieme ai fratelli Alfonso e Gaetano ad assolvere il servizio di leva militare durante la seconda guerra mondiale. Decise di combattere in prima linea con i partigiani nelle brigate Garibaldi tra Milano e Varese. Al suo ritorno ad Agrigento costituì la sezione provinciale dell’ANPI nella quale ricopri più volte la carica di Presidente. Fu chiamato dal prefetto Antonino Pancamo a far parte della Commissione prefettizia preposta a richiamare in servizio nella pubblica amministrazione coloro i quali avevano subito ingiustizie da parte del regime fascista. Inoltre fu tra i fondatori del partito socialista italiani nella citta dei Templi ed Antonio Bosco. Il suo impegno politico, prima nel PSI e poi nel PSIUP fu trasferito nella CGIL dove la sua esperienza professionale e sindacale al Comune di Agrigento dal 1948 al 1972.

Nel febbraio del 1977 a 56 anni sposo l’agrigentina Franca Meroni. Un anno dopo divento padre di Domenico, il suo unico figlio che oggi continua l’impegno politico e sindacale dell’illustre genitore. Giuseppe Pistone mori il 18.02.1991 ad Agrigento, citta che egli amò profondamente e dove operò con grande generosità ed impegno.