Partigiani Trapani e provincia

 

 

Vincenzo Alagna

Vincenzo Alagna nasce a Marsala, in C/da Digerbato, il 16 febbraio 1924 da Giuseppe e Maria Conticelli; frequenta la scuola fino alla 3a elementare. Ha 18 anni e fa il carrettiere quando, nel ’42, viene chiamato a prestare il servizio militare. Nel novembre dello stesso anno, viene “lasciato in congedo illimitato provvisorio” e ritorna a Marsala. Il 14 maggio un’altra “cartolina” lo richiama alle armi e raggiunge il 4° Reggimento Bersaglieri in Emilia Romagna .
Leggiamo, nel “Foglio matricolare e caratteristico”: – Sbandatosi in conseguenza ad eventi bellici a Modena” – 8 settembre 1943 -.
E’ da queste date e da questi luoghi che intraprendiamo la ricostruzione della sua breve vita.
Quando l’8 settembre 1943 viene firmato l’armistizio il Regio Esercito si trovò sbandato, senza ordini, soprattutto dopo la fuga del re Vittorio Emanuele III, del capo del governo Badoglio e dei suoi ministri: i soldati erano stati lasciati nelle mani assassine dell’invasore nazista e i generali non sapevano più se combattere gli anglo-americani appena sbarcati o i nazisti.
Questa situazione non poteva che comportare gravi ripercussioni sui destini e sulle scelte dei singoli; pochi furono i reparti che riuscirono ad organizzarsi e ad opporsi ai tedeschi; per molti si aprì la strada dei campi di concentramento, per altri era tutto finito e che occorreva limitarsi ad spettare il tracollo del Reich, per altri ancora era impedito il “ritorno” a casa, verso sud, perché le varie linee di difesa dell’esercito nazista avevano tagliato, dal centro-nord al nord, l’Italia da est ad ovest, una grande parte invece, prese la via delle montagne e si organizzò per combattere il nazismo e il fascismo.
l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (ISTORETO) ci ha fornito questi dati su Vincenzo Alagna:
“ATTIVITA’ PARTIGIANA: Prima e ultima formazione: 2a Div. Piemonte – 20a BRG “Braccini” dal 01-03-1944 al 12-07-1944. – Grado conseguito: Partigiano. Caduto: il 12 luglio 1944. Causa della morte: Fucilazione.”
La 2a Divisione Garibaldi “Piemonte”era una formazione partigiana che operava nella III zona del Canavese, nelle Valli di Lanzo; la 20a Brtg “P. Braccini” fu attiva nella val Grande in provincia di Verbano Cusio Ossola. In queste valli, nella zona di Coassolo, si costituirono le prime formazioni partigiane e si è combattuta una guerra patriottica di liberazione dallo straniero straordinaria che porterà queste valli, dal 25 giugno 1944 alla fine di settembre dello stesso anno, a costituirsi come Repubblica partigiana dell’Ossola.
Una guerra di Liberazione straordinaria scandita da un’ inaudita spietatezza da parte dei nazifascisti; riportiamo frammenti della testimonianza di Aldo Giardino, comandante della 46° Brtg.: < […] é forse l’episodio più drammatico avvenuto in questo territorio, una delle più tremende carneficine avvenute in zona ad opera dei nazifascisti […] Qui si trovava un contingente di partigiani […] una colonna di nazifascisti nella notte tra il 16 e 17 novembre 1944 risalì da Lanzo e […] riuscì […] a cogliere di sorpresa i partigiani. Nel pomeriggio […] giunse trafelata una staffetta: porta un messaggio […] in cui si dice: “siamo stati attaccati, si combatte al Passo del Bandito: al Cudine è un massacro. Attendo ordini”. A notte ci avvicinammo alla frazione[…] c’incamminammo verso il luogo del misfatto. E fu come se fossimo giunti in un altro mondo: le case, le piante, le pietre, il campanile della cappelletta, avevano assunto un aspetto trasfigurato.[…] lo spettacolo che appari ai nostri occhi era l’ostentazione di una violenza tale da fare arrossire […] il più incallito boia. I nostri compagni di lotta […] i corpi straziati, i visi deturpati, le membra devastate dal piombo e che strumenti di tortura che solo la follia poteva aver scatenato su uomini ormai inermi […] 27 giovani partigiani furono letteralmente fatti a pezzi dai nazifascisti: essi erano disarmati ed inermi poiché erano già stati fatti prigionieri […] L’inverno ’44-’45 fu molto duro e la neve bloccò le azioni partigiane nelle valli, ma non le loro rapide puntate in pianura per opere di sabotaggio e nemmeno le rappresaglie e i rastrellamenti dei nazifascisti.>
In un’azione come quella appena descritta e forse in un altra zona delle Valli, Vincenzo viene catturato, imprigionato e deportato nel Campo di Fossoli a Carpi (Mo).
Il Campo di prigionia di Fossoli fu voluto, nel 1942 dal PNF, successivamente diretto dalla RSI e poi direttamente dalle S.S. come principale campo di concentramento e transito per la deportazione in Germania di ebrei e oppositori politici; <Nel campo di Fossoli c’era proprio una forma di collaborazione molto spiccata per cui se evidentemente erano i nazisti a tenere il bastone, ad aiutarli nel reggerlo erano anche alcuni appartenenti alla RSI, a partire dal servizio di guardia […] > Mimmo Franzinelli – Fossoli 12 luglio 1944. Una strage dimentica.
L’ Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia (INSMLI) ci fornisce anche questa descrizione: “[…] Si può entrare nel campo solo se si è in possesso di un permesso, da questa regola scaturisce un logico fenomeno di corruzione delle sentinelle. […] gli unici sei che sono riusciti fino a quel punto a scappare “sono usciti dalla porta”.
Apprendiamo anche che: < Come ebreo, venni inviato a Fossoli […]. Al momento del mio arrivo, e cioè alla fine del gennaio 1944 gli ebrei italiani nel campo erano centocinquanta circa, ma entro poche settimane il loro numero giunse a oltre seicento. Si trattava per lo più di intere famiglie, catturate dai fascisti o dai nazisti per loro imprudenza, o in seguito a delazione. Alcuni pochi si erano consegnati spontaneamente, o perché ridotti alla disperazione dalla vita randagia, o perché privi di mezzi, o per non separarsi da un congiunto catturato, o anche, assurdamente, per “mettersi in ordine” con la legge1.> Così Primo Levi descriveva il campo prima di essere deportato ad Auschwitz il 22 febbraio.
L’ISTORETO ci fornisce ancora quest’altro dato su Vincenzo Alagna: “Deportato dal 3 maggio 1944 al 12 luglio 1944. […] “. Vincenzo Alagna, numero di matricola 1125, non incontrò Primo Levi perché Levi veniva trasferito ad Auschwitz il 22 febbraio; “incrociò” invece, i fratelli partigiani Carlo ed Alberto Todros di Pantelleria: questi, infatti vi furono deportati nel dicembre del ’43 e trasportati a Mauthausen il 21 giugno 1944.
L’11 luglio 1944, dopo il consueto appello, Vincenzo con altri 70 internati politici sono fatti uscire dalle file, separati dagli altri e alloggiati in una baracca a loro destinata con la motivazione che all’indomani sarebbero partiti per la Germania: sono uomini con le esperienze più varie, di tutte le professioni, di tutte le regioni, dai 16 ai 64 anni.
Alle 4 del mattino del 12 luglio vengono fatti uscire dalla baracca, tutti meno uno. Un altro, durante la notte riesce a nascondersi. I 69 detenuti vengono suddivisi in tre gruppi e condotti al poligono di tiro di Cibeno (fraz. di Carpi) in tre successive spedizioni. Qui li aspetta la lettura beffarda della sentenza della condanna a morte per rappresaglia ad un attentato avvenuto a Genova.
Dopo la lettura i prigionieri vengono fatti inginocchiare a coppie sul bordo della “[…] fossa fatta scavare il giorno prima da internati ebrei.” (ANPPIA) e con la fronte rivolta verso la buca vengono uccisi con un colpo di pistola alla nuca cadendo dentro la fossa.
Ultimato l’eccidio, i medesimi ebrei che il giorno prima avevano dovuto scavare la fossa < […] sono stati condotti davanti a quell’enorme groviglio di corpi sui quali le S.S. avevano già buttato uno strato sottile di calce. Qualcuno respirava ancora. La terra a poco a poco li ha sottratti allo sguardo atterrito degli affossatori e le zolle erbose hanno ricoperto l’atroce tumulo”>. Testimonianza raccolta da Enea Fergnani e pubblicata da “Triangolo Rosso” – Giornale ANED 2 luglio 2001.
“Il silenzio cadde sul martirio […]. Le famiglie […] si macerarono nella disperazione, resa ancora più cupa dall’assenza di una qualsiasi testimonianza che squarciasse il buio degli ultimi istanti di vita dei loro cari. […] Le operazioni di riconoscimento vennero attuate il 17 e 18 maggio 1945. […] Dell’ubicazione della fossa era a conoscenza soltanto il vescovo di Carpi, Monsignor Dalla Zuanna: i tedeschi avevano provveduto ad occultarla facendo arare e seminare tutto il terreno circostante. Nessun segno di pietà religiosa contraddistingueva
la grande tomba […]”. ANED.- Dal libro “Antonio Manzi, Partigiano cattolico assassinato a Fossoli”.
Alla riesumazione la salma di Vincenzo, contrassegnata con il numero 66, è riconosciuta da una lettera rinvenutagli addosso. Nessun familiare si presentò al riconoscimento. Dalla Fondazione Fossoli apprendiamo che, nei loro archivi, non c’è traccia della lettera di Vincenzo.
“Perché loro? Per quale motivo la scelta è ricaduta proprio su quei nomi? Molti dei compagni di prigionia riferiranno nelle testimonianze e deposizioni successive che si trattava dei “migliori”; migliori perché anche all’interno del campo, dopo aver subito la durezza del carcere e pur vivendo nella costante incertezza della loro sorte, molti di loro non avevano ceduto e, anche in quelle condizioni difficili, continuavano il loro lavoro di resistenza.” Marzia Luppi, direttrice Fondazione Fossoli.
In quel periodo Don Paolo Liggeri era internato a Fossoli; nelle pagine di luglio del ’44 nel suo diario scrive: <[…] li hanno spogliati degli oggetti personali che potevano facilitare l’identificazione […] poi li hanno coperti con uno spesso strato di calce perché si decompongano più celermente […] e hanno fatto gettare sementi sulla terra che ha ricoperto la fossa. Pare che siano accorsi dei preti (o il Vescovo), che abbiano chiesto almeno di poter benedire i morti […] sono stati brutalmente respinti […] >. Dal libro “Triangolo rosso ”
Ed ancora: “I destinati alla fucilazione erano 71, ma uno […] fu tolto dalla lista dalle stesse S.S. e si nascose durante la notte […] Mario Fasoli ed Eugenio Jemina […] riuscirono a sfuggire all’esecuzione, ribellandosi e dando inizio a una sollevazione dei condannati. Si noti quante anomalie caratterizzino questa strage, rispetto alle “consuete” rappresaglie naziste cui la si volle accomunare, soprattutto per la segretezza da cui fu circondata. La stampa dell’Italia liberata diede grande rilievo all’esumazione delle vittime […] i processi iniziati sono stati insabbiati, i fascicoli per anni nascosti nel cosiddetto “armadio della vergogna”, la strage stessa […] sconosciuta al grande pubblico”. ANED
< La strage del Poligono di tiro di Cibeno è stato l’atto più efferato commesso in Italia dalle S.S. su persone internate in campo di concentramento. […] Perché loro? Per quale motivo la scelta è ricaduta proprio su quei nomi? […] si trattava dei “migliori”; […] Oggi la morte di tutti gli imputati ha chiuso definitivamente la possibilità di avvalersi dell’iter giudiziario anche come strumento di conoscenza, come è avvenuto in anni recenti per altre stragi nazifasciste. > Marzia Luppi, direttrice Fondazione Fossoli
< A Fossoli si è realizzata una presenza coatta di persone […]. Manca un’anagrafe anche solo approssimativa degli internati […]. Si tratta di una presenza variegata: partigiani combattenti, civili che comunque gravitavano attorno alla Resistenza, ebrei, militari, patrioti in senso generico.> Il Diario di Fossoli di Leopoldo Gasparotto pubblicato nel 2007 da Bollati Boringhieri
< […] la strage è anche l’esempio più eclatante del mancato coordinamento tra polizia investigativa inglese e italiana negli anni 1945-48>. Basti pensare che Ehrke venne rilasciato a Roma nel 1947, dopo aver sottoscritto una dichiarazione in cui ammetteva di avere partecipato al massacro del Cibeno e indicava i responsabili. Müller invece conservò […] fino al 1946 l’ordine di esecuzione ricevuto da Kranebitter.>. ANED .Dal libro “Antonio Manzi, Partigiano cattolico assassinato a Fossoli”.
La strage fu ordinata dal Generale di brigata, comandante della Gestapo e delle S.S Wilhelm Harster del Comando S.S. di Verona; fu eseguita dal capo del Campo tenente Karl Titho dal maresciallo Haage, Fritz Kranebitter, Karl Müller e Fritz Ehrke.
< Ma l’accertamento dei fatti della giustizia e quelli della storia poggiano su modi e finalità differenti […] la storia, una disciplina per certi aspetti più libera rispetto alla giustizia, può e deve continuare ancora la sua ricerca di verità.> Marzia Luppi, direttrice Fondazione Fossoli
Ora che siamo a conoscenza anche degli Atti Parlamentari (Camera dei Deputati) relativi all’interrogazione dei Deputati Turrone-Guerzoni ai Ministri della difesa e di grazie e giustizia (seduta del 24/9/1996) e della risposta del Ministro della difesa Andreatta in merito all’ all’eccidio di Fossoli, l ‘A.N.P.I. cercherà di darà il suo contributo alla ricerca della verità: continueremo le ricerche e chiederemo, agli organi competenti di concedere i “giusti” “Riconoscimenti alla memoria” di Vincenzo Alagna.
Le spoglie di Vincenzo, “ritornate alla terra natia il 27 giugno 1950”, giacciono nella Cappella Votiva del Cimitero di Marsala.

anpi marsala

Monti Vero Felice Ernesto è nato a Marsala il 2 febbraio 1919 da Vincenzo e Maria Pace. Abitò in via Solferino e fin da piccolo lavorò come giovane di bottega in diverse attività commerciali, poi, da un artigiano, in via San Michele (angolo P.zza Collegio), dove si producevano sedie e salotti in vimini.

Nel 1935 a 16 anni Vero conobbe Cecè Azzaretti (fra i fondatori del P.C.d’I. a Marsala). Questo incontro, oltre alla sua particolare sensibilità antifascista, lo indusse a scriversi alla Cellula Giovanile Comunista; con lui altri amici come Pio Lo Presti (operaio edile), Vito Siracusa (futuro cognato del partigiano Tonino Sansone(1)), Santino Sciabica e Vincenzo Sciabica detto Ugo (2), Pino Catalano (detto Pino u Cummendaturi), Luciano Fiorino (bottaio) ed altri ancora.

Chiamato alle armi nella Marina parte per Venezia-Lido, qui viene destinato al reparto cannonieri con il grado di Sotto-Capo.
Dopo l’8 settembre 1943, renitente alla leva, fugge a Crevalcore (BO) non prima d’aver sabotato il radar di Venezia-Lido.

Non perde tempo Vero Felice: cerca subito contatti con gli antifascisti e compagni della locale sezione del PCI “Renato Francesconi”. Su indicazione del padre rintraccia Giuseppe Lombardo, antifascista, partigiano e sfollato a Crevalcore amico e compagno del padre di Vero; i due, infatti, erano militanti del PCI di Marsala.

Vero Felice inizia così la sua l’attività clandestina, conducendo una campagna propagandistica contro i fascisti della R.S.I. e contro i nazisti.

L’attività partigiana in sé, il suo stesso ruolo e il coraggio mostrato in tante azioni contro il nemico lo espongono alle persecuzioni dei fascisti: è a questo punto che accetta il consiglio dei compagni di partito di Crevalcore e cioè quello di allontanarsi dalla zona d’operazione e, per deviare sospetti e sfuggire alle persecuzioni, di arruolarsi nella Polizia Ausiliaria di Bologna dove assume il grado di Agente Scelto.

Il suo lavoro di partigiano però continua anche in questa nuova veste: continua a tenere i contatti con il partito e tenta di formare un gruppo partigiano in seno alla Polizia Ausiliaria.

Dopo 42 giorni, d’accordo con i compagni del partito, dà le dimissioni dalla Polizia adducendo “motivi di salute”.

Nel tentativo di passare il fronte viene arrestato e trasferito nelle carceri di Ancona dove rimane detenuto dal 27 gennaio 1944 al 31 marzo 1944 . I Nazifascisti non trovarono nulla che lo potesse accusare, viene perciò liberato e fa ritornò a Crevalcore dove riprende la sua attività di partigiano combattente.

Per la sua spiccata capacità politica ed organizzativa, nei mesi che vanno dal 5 maggio al dicembre 1944, nella Divisione Modena “Armando”, Brigata Pini-Valente, assume la mansione di Commissario Politico del Battaglione Angelo Valenti.

In questo periodo – leggiamo nella scheda della Commissione Regionale Riconoscimento Qualifica Partigiani e Patrioti, Emilia Romagna – con i compagni del suo Battaglione, compie ripetuti assalti al treno Modena – Ferrara prelevando armi e munizioni.

Dal 10 dicembre ’44 al 4 gennaio ’45 è a Farnada (località nel Comune di Fara Vicentino-VI) e a Gazzano (località nel Comune di Villa Minozzo-RE) dove, per ordine del Comando della Divisione (composto da 50 uomini), ha il compito di recuperare armi e viveri per l’equipaggiamento della formazione.

Dal 4 gennaio ’45 attraversa più volte il fronte con il compito di Accompagnatore Ufficiali Alleati e Civili , incarico che terrà fino alla Liberazione.

In questo periodo compie azioni quali lo sbandamento di 500 cavalli dal raduno tedesco a Ravarino (Comune in provincia di Modena); il disarmo di 3 pattuglie della Polizia Ferroviaria; il prelievo di 3 agenti delle S.S.; il ferimento e il disarmo di un milite repubblichino; l’assalto alla caserma delle S.S. di Crevalcore con la cattura dei soldati del comando e la requisizione di materiale e molte altre azioni, per il recupero di armi e munizioni, a Cento (FE).

Dal giugno all’agosto ’45 viene nominato, per acclamazione dei cittadini, Commissario della Polizia di Crevalcore e Presidente della Commissione Epurazione.

Monti Vero Felice Ernesto muore a Marsala il 31 Agosto 1995 ed è sepolto nel cimitero di marsala

mario gandolfo

Mario Gandolfo, nato a Marsala. Militava nella Divisione Partigiani “Giustizia e Libertà” – 5a Brigata. Caduto l’ 11 Agosto 1944 a Firenze in via Landino, angolo Viale Milton, per mettere in salvo una madre con la figlia, durante uno scontro a fuoco, Mario Gandolfo fu ucciso da cecchini nazifascisti.

salvatore bono

Salvatore Bono (Campobello di Mazara, 23 aprile 1920 – Campobello di Mazara, 28 maggio 1999) militare italiano, decorato con la Medaglia d’oro al valor militare.
Conseguito il diploma magistrale a Partanna nel 1939 dovette interrompere gli studi poiché venne chiamato al servizio militare all’inizio della seconda guerra mondiale.
Divenuto sottotenente di fanteria venne inizialmente inviato in Jugoslavia, per essere poi assegnato al “gruppo scorta tradotte e vigilanza treni” in varie stazioni fino ad arrivare nel 1942 in un reparto di fanteria della IV Armata, alla Stazione di Nizza dove partecipò alla costituzione del Costamiles di Nizza- Ville in occasione della occupazione italiana della Francia meridionale.
L’8 settembre 1943, a seguito alla notizia dell’armistizio di Cassibile i reparti tedeschi iniziarono a disarmare tutte le postazioni italiane che si trovavano lungo la ferrovia.
In serata, circa una settantina di tedeschi si recò presso la stazione centrale di Nizza dove la piccola guarnigione era comandata dal capitano Carlo Breviglieri ed affidata al sottotenente Salvatore Bono. Il capitano tedesco penetrò all’interno dello stanzone ove era stato costituito il comando e pretese la resa incondizionata dei militari italiani e la consegna delle armi. Il capitano Breviglieri rifiutò l’intimazione e fece aprire il fuoco sull’ufficiale tedesco e la sua scorta. Salvatore Bono, per primo aprì il fuoco contro l’ufficiale e l’uomo di scorta che gli si trovava vicino.
L’attacco di Bono scatenò la reazione tedesca contro i militari italiani di presidio e tra i primi cadde il capitano Breviglieri. Bono, insieme a pochi altri cercò rifugio in uno sgabuzzino da dove riuscì a sorprendere e a disarmare un ufficiale tedesco entrato all’interno per prenderli prigionieri. Impugnata una bomba a mano Bono si preparò a scagliarla contro i militari tedeschi che nel frattempo stavano penetrando nello stanzone del Comando ma fu da questi anticipato. Infatti fu investito dalla deflagrazione da una granata tedesca che fece deflagrare anche quella che aveva in mano. Bono perse il braccio destro e l’occhio sinistro.
Ferito gravemente fu ricoverato presso il nosocomio civile San Rocco, ma dopo alcuni giorni i tedeschi lo deportarono al campo di concentramento di Pierrefeu du Var.
Nel dicembre dello stesso anno, essendo ancora in regime di deportazione, riesce ad ottenere un permesso per raggiungere Nizza, allo scopo di sottoporsi ad ulteriori cure, ma in quella città resterà molti mesi e con il pretesto di essere stato nominato addetto culturale presso il Consolato Italiano evita di essere riconsegnato ai tedeschi.
Nel 1944, ricercato dalla Gestapo, ritornò in Italia dove viene riassunto dall’esercito italiano come ufficiale a disposizione.
L’anno successivo, a Stresa, ha il primo incontro con il comandante “Renato” che guidava la brigata partigiana “Stefanoni” di cui entrerà a far parte ufficialmente, anche se per alcuni giorni.
Riuscito a raggiungere Roma nel giugno 1945 venne ricoverato presso il centro mutilati San Carlo dove rimase fino al 1947, quando prese servizio presso il Consolato Generale d’Italia a Marsiglia.
Dopo qualche mese si fece trasferire all’Ufficio Archivi di Nizza dove rimase per un trentennio. Intanto si era laureato in Pedagogia a Genova ed il 15 aprile 1947 gli era stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare.

Medaglia d’oro al valor militare
«Nella difesa del più importante centro logistico di un’armata, morto il suo capitano, assumeva il comando dei pochi superstiti. Aggredito da soverchianti forze nemiche in un ufficio del comando, freddava con colpi di pistola un ufficiale tedesco ed alcuni soldati, ponendo in fuga i rimanenti. In una successiva aggressione, trovatosi con la pistola scarica, impegnava una lotta selvaggia con pugni e morsi. Aiutato da un suo sottufficiale, immobilizzava un secondo ufficiale nemico che decedeva poco dopo. Mentre tentava di colpire con bombe a mano altri militari sopraggiunti, veniva investito in pieno da schegge di bombe lanciate dal nemico, che provocavano lo scoppio della bomba che teneva nella mano destra, già a sicurezza sfilata e pronta per il lancio. Crivellato dalle schegge, cieco, privo della mano destra, veniva ricoverato in ospedale ove con stoicismo, che solo i prodi e gli audaci possiedono, senza un lamento sopportava l’amputazione dell’avambraccio destro, l’enucleazione dell’occhio sinistro ed altri dolorosissimi atti operatori. Magnifico esempio di alte virtù militari e di suprema dedizione alla Patria. – Nizza (Francia), 8 settembre 1943.»