Rita Atria. La picciridda dell’antimafia

L’Associazione Antimafie Rita Atria ringrazia la trasmissione “Chi l’ha visto?” per essersi occupata del caso della giovane testimone di giustizia Rita Atria deceduta in viale Amelia 23 a Roma, in circostanze ancora non chiarite del tutto, una settimana dopo l’uccisione del Giudice Paolo Borsellino.

In particolare, vogliamo ringraziare le giornaliste Federica Sciarelli e Chiara Cazzaniga che hanno voluto approfondire e parlare, con grande professionalità, dei tanti interrogativi emersi nel libro-inchiesta “Io sono Rita. Rita Atria: la settimana vittima di Via D’Amelio” (di cui sono autrici Giovanna Cucè, giornalista del TG1, Nadia Furnari, Vice Presidente dell’Associazione Antimafie “Rita Atria” e Graziella Proto direttora de LeSiciliane), nel quale si ricostruisce, anche con documenti inediti, tutto quello che in trent’anni non è mai stato cercato, chiesto, investigato, scritto, interrogativi che sono poi confluiti in un esposto per la riapertura delle indagini presentato al Procuratore della Procura di Roma tramite l’Avvocato Goffredo D’Antona del foro di Catania che rappresenta noi e la sorella, Anna Maria Atria.

Il servizio andato in onda nella serata del 31 maggio è stato per noi uno degli esempi, ormai rari nel panorama italiano, del giornalismo etico, coraggioso e antimafioso di cui parlava Giuseppe FavaLa verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!”.

Ora speriamo che l’appello lanciato in trasmissione di far emergere ogni possibile informazione sul periodo romano di Rita Atria abbia dei riscontri positivi.

Direttivo nazionale

Associazione Antimafie Rita Atria

Chi era Rita Atria?

Figlia del boss mafioso Vito Atria, ucciso il 18 novembre 1985 a Partanna per un regolamento di conti, Rita decise di collaborare con la giustizia seguendo l’esempio della giovane cognata Piera Aiello. Viene quindi isolata nel paese, poiché per molti – e per la sua stessa famiglia – è un disonore mantenere legami con chi ha rotto il muro dell’omertà.

Morti il padre e il fratello, rifiutata dalla madre e dalla sorella, lasciata dal fidanzato Calogero, Rita nel novembre 1991 incontrò il magistrato Paolo Borsellino (all’epoca Procuratore a Marsala), a cui si legò come a un secondo padre. Le rivelazioni di Rita e di sua cognata Piera permisero l’arresto di svariati appartenenti alle cosche di Partanna, Sciacca e Marsala. Per questo fu costretta a trasferirsi a Roma, in località segreta e sotto falso nome, e a vivere una vita completamente isolata dal resto del mondo.

“Bisogna rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia – scriveva Rita – che al di fuori c’è un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di quello o perché hai pagato per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? Se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo”.

La morte di Borsellino nella strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992 segnò definitivamente la sua vita. Rita decise di togliersi la vita per il dolore: il 26 luglio 1992 si lanciò dal settimo piano di un palazzo in viale Amelia 23, a Roma. Lasciò scritto sul suo diario: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”.