Risultati della ricerca per: riggi s. cataldo

Muore il partigiano di San Cataldo, Cav. Giuseppe Riggi.

Con dolore abbiamo appreso la triste notizia della scomparsa del partigiano sancataldese Cav. Giuseppe Riggi, nome di battaglia “Ricciardi”.
Il suo esempio, la sua lotta contro il nazifascismo resteranno per tutte e tutti noi, per la società civile un faro luminoso di libertà ed impegno per la democrazia. Avremo cura dei semi piantati e continuiamo per la strada che con sacrificio e spirito di servizio lui e i partigiani e le partigiane hanno tracciato.
Abbracciamo con affetto la sua famiglia.
Per sempre grati, per sempre grate.


Comitato Provinciale ANPI Caltanissetta
Sezione Anpi di San Cataldo “Sandro Pertini”
Sezione Anpi di Caltanissetta “Gino Cortese”.

Chi era Giuseppe Riggi?

Nato a San Cataldo il 19 novembre 1920, nelle campagne dell’entroterra siciliano viene arruolato all’età di vent’anni nel Regio Esercito ed assegnato alla 15° Compagnia di Sussistenza il 12 gennaio 1941. Il 29 febbraio dell’anno successivo, parte con la 53° Squadra panettieri nella drammatica campagna di Russia, che lo segnerà per tutta la vita e gli farà maturare al suo ritorno in Italia, l’adesione alle formazioni partigiane nelle squadre operanti nel territorio tra Lodi e Cremona.

Dopo l’8 settembre 1943 inizia attivamente le operazioni di contrasto alle forze nazifasciste nell’ambito della guerra di liberazione italiana con il nome di battaglia “Ricciardi”. Di quei mesi vissuti, indimenticabile è la data del 26 luglio 1944, quando nei pressi di Spino D’Adda (CR), Ricciardi e i suoi compagni furono accerchiati dai fascisti. Quest’ultimi riuscirono a catturare, dopo un duro conflitto a fuoco, alcuni dei compagni; seppur ferito di striscio, il partigiano sancataldese riuscì a scappare. Nella stessa giornata i suoi compagni ed altri catturati partigiani patrioti furono trucidati dalle forze di oppressione fasciste. Una pagina di storia che rimembra la strage più sanguinosa compiuta dai fascisti nel lodigiano, escludendo le stragi nazifasciste dei giorni dell’insurrezione.

Alla notizia che i corpi di Benito Mussolini, Claretta Petacci e degli altri gerarchi fucilati nel pomeriggio del 28 aprile 1945 erano stati esposti nella notte a Piazzale Loreto, Riggi assieme ai suoi compagni si reca a Milano, rendendosi conto con i propri occhi che era finalmente finita e l’Italia era libera. Il 30 aprile 1945 partiva a piedi per attraversare l’Italia e tornare nella sua amata Sicilia.

In congedo illimitato si è dedicato all’attività di contadino, partecipando attivamente alle attività sindacali, diventando uno tra i fondatori della Camera del Lavoro di San Cataldo. Tanti negli anni i riconoscimenti dello Stato di cui è stato insignito: “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”, Diploma d’Onore di “Combattente per la Libertà d’Italia 1943-1945” con il riconoscimento di “Partigiano Combattente” e la “Medaglia della Liberazione” in occasione del 70° anniversario della Guerra di Liberazione e della Resistenza.

Un secolo intero dalla parte giusta della storia, da comunista e da antifascista – dichiara Giuseppe Cammarata, presidente del Comitato Provinciale di Caltanissetta dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia in difesa del diritto più grande, di cui noi tutti siamo eredi: la libertà. Se oggi viviamo in un Paese democratico e libero, lo dobbiamo a questi eroi che hanno lottato ai tempi e invogliano noi e le future generazioni a resistere per le stesse battaglie”.

UN SECOLO DI RESISTENZA: BUON COMPLEANNO PARTIGIANO “RICCIARDI”

A San Cataldo (CL) si festeggia il 100° compleanno il partigiano Giuseppe Riggi; gli auguri dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – ANPI Provinciale nissena e della Sezione “S. Pertini” di San Cataldo

Un secolo di vita. Un bel traguardo per il Partigiano d’Italia Giuseppe Riggi che oggi 19 novembre 2020 compie il compleanno. Nato a San Cataldo (Caltanissetta) il 19 novembre 1920, nelle campagne dell’entroterra siciliano, viene arruolato all’età di vent’anni nel Regio Esercito ed assegnato alla 15° Compagnia di Sussistenza il 12 gennaio 1941. Il 29 febbraio dell’anno successivo, parte con la 53° Squadra panettieri nella drammatica campagna di Russia, che lo segnerà per tutta la vita e gli farà maturare al suo ritorno in Italia, l’adesione alle formazioni partigiane nelle squadre operanti nel territorio tra Lodi e Cremona.

Dopo l’8 settembre 1943 inizia attivamente le operazioni di contrasto alle forze nazifasciste nell’ambito della guerra di liberazione italiana con il nome di battaglia “Ricciardi”. Di quei mesi vissuti, indimenticabile è la data del 26 luglio 1944, quando nei pressi di Spino D’Adda (CR), Ricciardi e i suoi compagni furono accerchiati dai fascisti. Quest’ultimi riuscirono a catturare, dopo un duro conflitto a fuoco, alcuni dei compagni; seppur ferito di striscio, il partigiano sancataldese riuscì a scappare. Nella stessa giornata i suoi compagni ed altri catturati partigiani patrioti furono trucidati dalle forze di oppressione fasciste. Una pagina di storia che rimembra la strage più sanguinosa compiuta dai fascisti nel lodigiano, escludendo le stragi nazifasciste dei giorni dell’insurrezione.
Alla notizia che i corpi di Benito Mussolini, Claretta Petacci e degli altri gerarchi fucilati nel pomeriggio del 28 aprile 1945 erano stati esposti nella notte a Piazzale Loreto, Riggi assieme ai suoi compagni si reca a Milano, rendendosi conto con i propri occhi che era finalmente finita e l’Italia era libera. Il 30 aprile 1945 partiva a piedi per attraversare l’Italia e tornare nella sua amata Sicilia.
In congedo illimitato si è dedicato all’attività di contadino, partecipando attivamente alle attività sindacali, diventando uno tra i fondatori della Camera del Lavoro di San Cataldo. Tanti negli anni i riconoscimenti della Stato di cui è stato insignito: “Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”, Diploma d’Onore di “Combattente per la Libertà d’Italia 1943-1945” con il riconoscimento di “Partigiano Combattente” e la “Medaglia della Liberazione” in occasione del 70° anniversario della Guerra di Liberazione e della Resistenza.

“Un secolo intero dalla parte giusta della storia, da comunista e da antifascista – dichiara Giuseppe Cammarata, presidente del Comitato Provinciale di Caltanissetta dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – in difesa del diritto più grande, di cui noi tutti siamo eredi: la libertà. Se oggi viviamo in un Paese democratico e libero, lo dobbiamo a questi eroi che hanno lottato ai tempi e invogliano noi e le future generazioni a resistere per le stesse battaglie”.

L’ANPI Provinciale e la Sezione “S. Pertini” di San Cataldo, si stringono intorno al partigiano Riggi e alla sua famiglia, augurando un buon compleanno, con l’auspicio di festeggiare presto questo grande traguardo.

Verso il 25 Aprile: Il ruolo delle donne nella Resistenza- Intervista a Claudia Cammarata

93798774_1081901268862803_223784975990784_n-720x675Il 25 Aprile si festeggia anche quest’anno nonostante il tentativo di inquinarne la memoria in un periodo di profonda fragilità del nostro paese. Con quella di oggi iniziamo una serie di interviste che possano ricordarne l’importanza, raccontare le iniziative virtuali che stanno nascendo per festeggiarlo anche da casa, e soprattutto gli insegnamenti da poter trarre in vista di quello che sarà un momento di ricostruzione del Paese dopo il grave momento che stiamo vivendo. Questo pomeriggio iniziamo con Claudia Cammarata che dal mondo dell’attivismo e associazionismo risponde alle nostre domande:

Perché l’antifascismo dovrebbe essere un valore per tutti i cittadini?

L’antifascismo è un valore per i cittadini e le cittadine ma più che altro è un modo di essere, di agire, di concepire la vita sociale, economica e politica di un Paese. Essere antifascisti significa essere irremovibili su quei principi di libertà e uguaglianza che sono alla base della nostra democrazia. E significa avere come punto di riferimento fermo e luminoso la nostra Costituzione, nata perché quella terribile esperienza non si ripeta mai più.

Pensi che ci sia una colpa di una parte della sinistra se oggi il 25 Aprile e l’antifascismo non è da tutti sentito allo stesso modo, oppure la responsabilità è solo di un destra che strizza l’occhio ed sentimenti nostalgici nei confronti del passato?

Penso che un mea culpa generale sia doveroso e anche necessario: probabilmente a sinistra abbiamo abbassato la guardia credendo che quei principi in cui – fortemente – crediamo fossero al sicuro e conquistati in maniera definitiva. I diritti e libertà di cui godiamo devono essere accompagnati dal dovere di difenderli ovunque sia necessario, in maniera costante e a qualunque costo. Le commemorazioni non sono sufficienti se la Memoria non diventa esercizio quotidiano, azione e proposta. Del resto il 25 aprile di 75 anni fa non fu forse l’inizio? Che sia ogni 25 aprile un momento per iniziare o per continuare.
Dall’altra parte conviviamo ancora e da sempre con una certa destra che più che strizzare l’occhio direi che è costruita su quei “valori” che l’antifascismo deve difendere e combattere. Questa destra negli ultimi anni ha visto allargare le basi del proprio consenso perché ha trovato il capro espiatorio ideale, questa volta gli immigrati, contro cui aizzare gli animi degli italiani, approfittando del malessere generale dovuto alla povertà in cui versano tante famiglie, all’alto tasso di disoccupazione giovanile, alla precarietà del mondo del lavoro. Una propaganda becera intrisa di odio e menzogne che ha scatenato una guerra tra poveri e creato molta confusione.

Da appassionata lettrice quale libro consigli per riscoprire il valore di questa giornata?

Consiglio “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. 8 settembre 1943-25 aprile 1945” curato da Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli. Sono le parole, le ultime, piene di dolore ma ferme e fiere che partigiani e patrioti catturati da fascisti o tedeschi rivolgono ai familiari. Alcuni consapevoli altri con il presentimento che verranno giustiziati a breve tutti vivono per la prima e ultima volta l’atroce esperienza di <>.

Essere antifascista ha un significato in più per una donna?

Certamente. Per le donne l’esperienza della Resistenza e della Liberazione ha rappresentato un momento cruciale. È stato un momento in cui, per usare le parole della partigiana Marisa Ombra “si sono rotte tante gabbie”: gli uomini hanno nuovamente imparato a vivere in libertà e per la prima volta lo hanno imparato anche le donne. Per coloro che hanno combattuto in prima linea il salto è stato enorme: vivere in banda insieme a dei ragazzi ha significato per tutti, anche per gli uomini, inventare nuovi modi di rapportarsi. L’esperienza della Resistenza ha gettato le basi per la liberazione della donna in toto, come singola e come membro di una collettività: subito dopo le donne hanno iniziato a votare e ad essere votate, hanno dato il loro importante contributo alla stesura della Carta Costituzionale. Si sono organizzate in partiti e associazioni e hanno messo al centro la questione femminile, questione che ben presto divenne politica. Sono diventate cittadine con dei diritti e dei doveri, doveri diversi da quelli di essere esclusivamente buone figlie, buone mogli e buone madri. Essere antifasciste significa per le donne far propri quei sentimenti di ribellione alla violenza, all’oppressione e ai “ruoli” prestabiliti. Significa aver consapevolezza di dover fare la propria parte nella società in cui viviamo.

Cosa ne pensi dell’idea dell’onorevole La Russa di sostituire il 25 aprile con il ricordo dei caduti di tutte le guerre e i virus compreso il Coronavirus?

Io penso che l’onorevole dovrebbe studiare qualche pagina di Storia, anche in un sussidiario delle scuole elementari. I tentativi di revisionismo da parte di certi personaggi della politica sono sempre ricchi di espedienti più o meno fantasiosi per gettare fango sulla Memoria e sul sangue di coloro che subirono torture indicibili e furono uccisi per permettere a questi personaggi, anche all’onorevole La Russa, di dire la propria. Non la chiamo “opinione” perchè il fascismo non è un’opinione ma un crimine.

In che modo vi state preparando per questa giornata nonostante il lockdown?
Con il direttivo territoriale dell’Arci (composto dal presidente provinciale Giuseppe Montemagno, da Roberta Lanzalaco dell’ Arci Strauss di Mussomeli, da Calogero Santoro de “I Girasoli” di Caltanissetta e dalla sottoscritta) abbiamo avviato l’iniziativa social “Percorsi di Resistenza”: un percorso tutto al femminile che ci accompagnerà fino al 25 aprile e oltre per riscoprire il ruolo delle donne all’interno della Resistenza. Attraverso il filo rosso della memoria arriveremo ai giorni nostri, in cui noi donne siamo chiamate quotidianamente a resistere contro la violenza e le discriminazioni. Un processo di liberazione iniziato il 25 aprile e per noi ancora in corso.
La campagna è partita sabato 18 aprile attraverso una serie di fotografie che ritraggono noi donne dell’Arci del territorio con in mano un cartello con gli hashtag #liberesempre #versoil25aprile #ComunqueResistenti. Nel giro di due giorni tantissime altre donne ci hanno seguite spontaneamente e molte altre sono state coinvolte. Volti, storie, esperienze diverse unite in un’unica voce: noi ci siamo, ricordiamo e resistiamo.

 

di Giulio Scarantino

 

Claudia Cammarata è presidentessa del circolo Attivarcinsieme di San Cataldo all’interno del quale ha costituito il Centro Culturale delle Donne “Felicia Bartolotta Impastato”, membro del direttivo provinciale dell’Arci e attivista dell’Anpi “Sandro Pertini” di San Cataldo.

Partigiani Caltanissetta e provincia

gaetano buteraGaetano Butera. Nato a Riesi (Caltanissetta) l’11 settembre 1924, ucciso a Roma il 24 marzo 1944, decoratore, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Butera non aveva ancora vent’anni quando i nazisti lo uccisero alle Fosse Ardeatine. Da ragazzo aveva cominciato a fare l’artigiano decoratore, ma aveva dovuto lasciare la Sicilia quando era stato chiamato alle armi, allo scoppio della seconda guerra mondiale. All’armistizio il giovane si trovava a Roma, in servizio nel 4° Reggimento carristi, che partecipò alla difesa della Capitale combattendo contro le truppe tedesche. Quando Roma fu occupata, Butera entrò subito nell’organizzazione partigiana “Bande armate del Lazio” e si batté contro i nazifascisti sino a che non cadde in un’imboscata. Rinchiuso in via Tasso, vi fu a lungo torturato e, infine, portato alle Fosse Ardeatine e massacrato. Nella motivazione della ricompensa al valore si legge: “Audace patriota appartenente ad un gruppo di bande armate operante sul Fronte della Resistenza, si distingueva per attività, coraggio ed alto rendimento. Incurante dei gravi rischi cui continuamente si esponeva, portava a compimento brillantemente tutte le missioni operative affidategli, facendo rifulgere le sue doti di ardito combattente della libertà. Arrestato dalla sbirraglia nemica durante un’azione di sabotaggio, sopportava con fierezza le barbare torture inflittegli senza nulla rivelare sull’organizzazione di cui faceva parte. Condannato a morte, affrontava serenamente l’estremo sacrificio”.

 

1378468_10203411693189866_647491366122269534_n

Pompeo Colajanni (Caltanissetta, 4 gennaio 1906 – Palermo, 8 dicembre 1987) è stato un partigiano, politico e antifascista italiano. Ufficiale di cavalleria, divenne comandante delle Brigate Garibaldi della Valle Po, distinguendosi, con il nome di battaglia di “Nicola Barbato”, per capacità e combattività durante tutto il corso della Guerra partigiana. Nella parte finale del conflitto divenne il responsabile generale delle formazioni garibaldine dell’VIII Zona partigiana del Piemonte e prese parte con un ruolo importante alla liberazione di Torino.
Avvocato, negli anni venti, antifascista convinto e militante del PCI clandestino, si adoperò per la costituzione di una organizzazione nella quale si ritrovarono i giovani repubblicani, socialisti, anarchici e comunisti, per questa attività subì perquisizioni e venne arrestato.

L’8 settembre 1943 Colajanni era in Piemonte inquadrato nel Reggimento “Nizza Cavalleria”, come tenente di complemento a Pinerolo, l’avanzamento a capitano essendogli stato negato per i suoi precedenti antifascisti.
Entrato in contatto con un gruppo di politici comunisti che a Barge nella Valle Po avevano costituito un primo nucleo di resistenza da cui avrebbero preso forma le Brigate Garibaldi del Piemonte (Ludovico Geymonat, Antonio Giolitti, Gian Carlo Pajetta), Colajanni si aggregò a questo gruppo con una parte dei militari del proprio reggimento, contribuendo ad organizzare ed armare una delle prime formazione partigiana attive, denominata 1º battaglione “Carlo Pisacane”. Colajanni portò con sé in montagna una quindicina di membri del suo squadrone di cavalleria, tra cui i tenenti Carlo Cotti e Antonio Crua ed i sottotenenti Vincenzo Modica “Petralia”, Giovanni Latilla “Nanni” e Massimo Trani “Max” che divennero i suoi luogotenenti ed i capi delle formazioni garibaldine piemontesi durante la Resistenza.

Attivo e popolare tra i partigiani garibaldini, Colajanni prese il nome di battaglia di “Barbato” (in onore del medico socialista Nicola Barbato, protagonista dell’esperienza dei Fasci siciliani) e guidò attivamente la lotta partigiana, esponendosi spesso direttamente nelle operazioni di guerriglia. “Barbato” divenne la figura centrale delle formazioni garibaldine del Piemonte e prese parte al continuo potenziamento delle forze partigiane nella zona; il 14 marzo 1944 divenne comandante della IV Brigata Garibaldi Cuneo e il 22 maggio 1944 assunse il comando militare della 1ª Divisione Garibaldi Piemonte. Dopo aver resistito ad una serie di operazioni di repressione nazifasciste in Val Varaita nel marzo e luglio 1944, le formazioni garibaldine di Colajanni mantennero la loro efficienza di combattimento e in parte vennero disperse a valle secondo la strategia ideata dallo stesso “Barbato” della “pianurizzazione”.

Con la crescita delle formazioni garibaldine piemontesi e la costituzione di una seconda divisione, (la 11ª Divisione Garibaldi Piemonte) Colajanni lasciò il comando della 1ª Divisione Garibaldi Piemonte a Vincenzo Modica e divenne il responsabile superiore dell’VIII Zona partigiana piemontese (Monferrato). Nell’aprile 1945 “Barbato” organizzò la marcia delle formazioni partigiane su Torino da varie direzioni; l’attacco ebbe inizio il 19 aprile 1945 con l’assalto delle formazioni di Modica contro il presidio fascista repubblicano di Chieri che venne sconfitto dopo uno scontro a cui presero parte anche reparti dell’11ª Divisione Garibaldi e del Gruppo Operativo Mobile di Giustizia e Libertà.

A questo punto la situazione divenne confusa per il tentativo del colonnello britannico John Stevens, capo della locale missione alleata, di arrestare la marcia dei partigiani e favorire l’arrivo per prime a Torino delle truppe anglo-americane. Un falso messaggio del CMRP (Comitato Militare Regione Piemonte) venne inviato ai partigiani di Colajanni ordinando di sospendere l’irruzione nel capoluogo piemontese. Subodorando un inganno, “Barbato” invece il 26 aprile diede ordine di continuare la marcia ed entrare a Torino; il 28 aprile 1945 i partigiani garibaldini delle formazioni di Modica e Latilla entrarono in città dove, con la collaborazione degli autonomi di “Mauri” e dei giellisti, superarono la resistenza delle Brigate Nere e liberarono l’abitato. Colajanni, vicecomandante del CMRP, dopo la liberazione venne designato vicequestore di Torino.

Pochi mesi divenne dopo sottosegretario alla Difesa nel Governo di Ferruccio Parri, e successivamente nel primo governo di Alcide De Gasperi. Inviato subito dopo in Sicilia, divenne consigliere comunale di Palermo. Nel 1947 fu eletto Deputato regionale in Sicilia per il Blocco del Popolo. Rimase per sei legislature fino a quando si dimise nel marzo 1969, ricoprendo anche la carica di Vice presidente dell’Assemblea regionale siciliana. Fu eletto poi nel 1975 (subentrando a Vito D’Amico) alla Camera dei deputati a Torino, dove rimase fino al 1976.

Il suo impegno politico durò fino alla morte, infatti ricoprì diversi altri incarichi: Consultore nazionale, Membro del comitato centrale del PCI, Segretario delle federazioni comuniste di Enna e Palermo, Consigliere nazionale dell’ANPI e nel Consiglio nazionale della pace.

unnamed (2)

Luigi Cortese (GINO)

Luigi Cortese, noto come Gino, nacque a Caltanissetta il 4 luglio 1920. Il padre Enrico era proprietario immobiliare, la madre Emilia Romano figlia di commercianti.

Nella Caltanissetta, degli anni ‘30 dello scorso secolo, potevi incontrare numerosi intellettuali di idee democratiche ed antifasciste che operavano nel mondo della scuola: Luca Pignato, Concetto Marchesi, Luigi Monaco, Vitaliano Brancati.

Gino Cortese, insofferente della retorica fascista, inizia, come studente liceale, a coltivare letture e studi della filosofia marxista. Gino insieme a Leonardo Sciascia, è autore di clamorose beffe nei confronti del fascismo, spacciando discorsi di Stalin o Dimitrov per scritti di Mussolini e Starace.

Viene reclutato nella cellula clandestina del PCI da CALOGERO BOCCADUTRI( LUZIU), figura leggendaria dell’antifascismo nisseno. Nel 1940 l’avvocato Pompeo Colajanni lo iscriverà al PCI.

Nel 1943 parte per Parma, come sottufficiale del Reggimento Guide; prende contatto con antifascisti parmensi. Stampa, in modo ardimentoso, presso la caserma il numero unico de ”Il Nuovo Piccone”; un organo stampa di agitazione rivoluzionaria antifascista.

Il 9 settembre del 1943 parteciperà, a Villa Braga, alla prima riunione costitutiva della Resistenza antifascista che sancisce l’inizio della lotta armata al fascismo.                            Riceve l’incarico( era appena 23enne e non conosceva il territorio) di organizzare la resistenza in Val d’Enza; in breve diventerà il Commissario “Ilio”, commissario politico della 47a Brigata Garibaldi( la Brigata dalla “testa calda”) e poi della Divisione Ottavio Ricci; terrà i contatti con i comandi alleati.  Sosterrà e proteggerà i compagni, verrà ferito, catturato e condannato a morte; si salverà grazie al bombardamento del carcere di Parma.

Il 25 aprile del 1945 alla testa della brigata libererà Parma.

Tornato in Sicilia si darà all’organizzazione del PCI nel nisseno. Eletto deputato all’ARS per 5 legislature, dal 1947 al 1967, diverrà capo del gruppo parlamentare del PCI.

Arrestato, nell’agosto 1948, insieme a tutto il gruppo dirigente del PCI e del sindacato di Caltanissetta per la partecipazione ad una manifestazione antifascista, sconterà quasi un anno di detenzione. Come parlamentare, presenterà numerosi disegni di legge riguardanti: il settore minerario, l’agricoltura, l’industria, l’istruzione.

Si distinguerà per capacità organizzative e oratoria. Laureatosi in Filosofia, e lasciato l’impegno politico, insegnerà presso l’Università di Palermo fino al 1977, svolgendo numerosi corsi su: Storia della Resistenza, Mafia.                                                           Lasciato l’insegnamento per motivi di salute, Gino Cortese morirà a Palermo il 4 giugno 1989.

91947036_2553257364922483_4646625809308581888_n

Salvatore Giujusa (Mazzarino), arruolatosi nell”Arma dei Carabinieri il 13 giugno 1938 venne assegnato al Comando di Legione di Trieste. Un anno dopo l’armistizio firmato dal governo Badoglio, l’arma dei carabinieri venne sciolta. Schieratosi nelle file dei partigiani venne fatto prigioniero il 28 settembre del 1944 in territorio Monte Croce, in Trentino, e deportato nel lager di Dachau in Germania. Fece ritorno a casa grazie alla liberazione avvenuta da parte degli anglo-americani quando si trovava insieme ad altre 80 persone davanti ad un forno crematorio.

Nel 2018, in occasione della giornata della Memoria, il prefetto di Caltanissetta, Dott.ssa Maria Teresa Cucinotta ha consegnato ai famigliari di Salvatore Giujusa la medaglia d’onore alla memoria del Presidente della Repubblica.

Il 26 Gennaio 2019 , il Comune di Mazzarino ha intitolato una via a Salvatore Giujusa, ex Via Pecorella.

Cammarata Calogero 2

Calogero Cammarata, nato a San Cataldo il 19.01.1921, di Salvatore e Riggi Grazia Partigiano combattente dal 15.01.1944 al 30.05.1944 nella “Formazione Tigre” con il nome di battaglia “Calogero”, operante nel territorio di Esanatoglia, Attiggio e Vallina nel Fabrianese (Marche). Cadde durante un’operazione partigiana in località Valle del comune di Fabriano (AN) in data 30.05.1944, ed è sepolto a Fabriano nel Cimitero di Santa Maria. Lo ricordano le lapidi nel Cimitero di Santa Maria e nella Cappella dei Partigiani a Fabriano.

Alessandro Bevilacqua

Alessandro Bevilacqua è nato Sommatino il 6 febbraio del 1924, era conosciuto per la sua vita da soldato partigiano per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Venne chiamato alle armi l’11 maggio 1943. Entro nelle file partigiane il 23 ottobre del 1944, operando tra i comuni di Zoppola, Casarsa della Delizia e altri comuni della provincia pordenonese. Alla conclusione del conflitto, si impegnò in prima linea nella segreteria della Lega Braccianti della CGIL di Sommatino per la difesa dei diritti della classe contadina. In ambito letterario ha pubblicato tre libri in vernacolo siciliano ( Li Misi di l’ANNU, Cci pinzu sempri, Lu nannu e lu niputi), dove attraverso racconti e poesie rievoca la sua Sicilia che lavora la terra, che lavora e muore nelle miniere, che emigra all’estero in cerca di fortuna. Il 25 aprile del 2016, su richiesta dell’ANPI provinciale di Caltanissetta, Alessandro Bevilacqua ricevete la medaglia d’oro per il 70°anniversario della Liberazione da parte del prefetto di Caltanissetta. Un uomo che si è speso molto per la sua famiglia e per la propria comunità.

DDKQ0031

Salvatore Russo nasce il 30 gennaio 1919 a Riesi. Aviere dell’esercito, Russo che oggi è Presidente onorario dell’Anpi di Riesi, venne catturato dai tedeschi in Albania. A tal proposito Russo ricorda: “Badoglio firmò l’armistizio incondizionato, noi in aeroporto eravamo in forze maggiori dei tedeschi ma il generale, un fascista, non ci diede indicazioni”. Uno dei tanti casi di un esercito lasciato allo sbaraglio dopo l’8 settembre.
Il 101enne di Riesi, ex aviere dell’Esercito, ricorda bene le sevizie e le angherie. Costretto come gli altri a lavorare in fabbrica su turni di 12 ore, alternativamente di giorno e di notte, insieme ai compagni di prigionia ha dovuto commettere qualche furto per poter mangiare. Come un furto di patate che gli costò punizioni corporali da parte dei tedeschi. “Per la fame commettevamo qualche furto. Avevamo rubato le patate da un magazzino vicino. Ci hanno preso e portato in una stanza facendoci mettere in uno sgabello a petto in giù con la testa fra le gambe dei tedeschi e un altro che dava bastonate”.
Due anni di prigionia prima della liberazione e del ritorno a casa. Prima, però, bombardamenti alleati sui campi e tante persone viste morire. “Ho subito pure io i bombardamenti e una notte, la più spinosa, per quattro cinque giorni bombardamenti a tappeto. I morti cadevano a terra insieme agli animali. Per fortuna avevo una coperta e quando ero fuori dopo l’allarme anti aereo, mi sono trovato rannicchiato con una coperta addosso, se ero più alzato non sarei qui”.
Il 28 gennaio 2017 ha ricevuto la medaglia d’onore del Consiglio dei Ministri come deportato IMI dal prefetto di Caltanissetta, Maria Teresa Cucinotta. La storia è stata pubblicata all’interno del manoscritto Resistenti, storie di antifascisti, partigiani e deportati di Riesi a cura di Giuseppe Giancarlo Calascibetta.

 

salvatore auria

Salvatore Auria. Nato a Sommatino (Caltanissetta) il 18 ottobre 1916, caduto a Strabatenza (Forlì) il 21 aprile 1944, Medaglia d’argento al valor militare alla memoria. Antifascista, era stato confinato alle isole Tremiti. Con la fine della dittatura aveva ottenuto la libertà, ma nell’impossibilità di tornare in Sicilia, si era accompagnato a un altro confinato e l’aveva seguito nel Forlivese. Qui, dopo l’armistizio, Auria fu tra i primi organizzatori della lotta partigiana e fu nominato commissario politico di un battaglione dell’VIII Brigata d’assalto Garibaldi. Catturato dai tedeschi durante un rastrellamento a Strabatenza, il commissario fu liberato dai suoi compagni in un immediato corpo a corpo. L’episodio non indusse Auria ad una maggiore cautela; egli continuò la lotta alla testa della sua formazione, sino a che non fu abbattuto da una raffica di mitra.

Boscaglia Gaetano

Gaetano Boscaglia nasce a Mazzarino (CL) il 23.04.1920. Deceduto il 10.05.2009 All’8 settembre 1943 è soldato nel Fossanese, si sbanda e trova riparo in cascine compiacenti che lo sostengono, dopo un arruolamento temporaneo come cuoco in una caserma di carabinieri, fugge per non finire deportato in Germania. Si aggrega in Val Corsaglia (CN) nella banda Giulio Bechis, è amico fraterno dei fratelli Roggero. A fine gennaio i945 viene arrestato con Giorgio Roggero, da Farina e Bianchini in un’altra casa di Avagnina frazione di Mondovì. Boscaglia salvatosi a Carrù per il rotto della cuffia, privato dell’amico Giorgio Roggero, dopo la fuga dal carcere di Mondovi riprende la lotta fino alla liberazione. Il 05.05.1945 vede morti il suo torturatore Bianchini con il ten.Farina, Bonaccorsi e Ia collaboratrice Osella distesi sul selciato dietro le transenne.

Francesco Villari nato a Gela il 20.05.1923 Sottotenente Scuola applicaz. fanteria – decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare – Alla memoria, con Decreto Presidenziale dell’11 febbraio 1963. Il combattimento, rapido e intenso, si concluse con la sconfitta dei nostri mezzi corazzati; nello scontro furono uccisi sei carristi italiani, uno dei carri armati italiani fu distrutto vicino al Ponte e un altro precipitò nel greto della Parma. La mattina seguente, 9 settembre 1943, la città era ormai sotto il pieno controllo dei tedeschi.

Encomio: «Ufficiale frequentatore della scuola di applicazione di fanteria, avuto sentore, mentre si trovava nella propria abitazione, che l’unità tedesca stava attaccando l’Istituto, noncurante del pericolo accorreva prontamente per intervenire nella lotta. Giunto nei pressi della Scuola, accortosi che essa era completamente accerchiata, con generoso slancio si univa ad un nostro reparto corazzato che, non lontano, combatteva contro soverchianti forze tedesche. Nell’aspra e cruenta lotta, combattendo fianco a fianco con i carristi, si distingueva per indomito valore e ardimento. Cadeva poco dopo, colpito da una raffica di mitragliatrice. «Fulgido esempio di predare virtù militare».                                      (Parma, 9 settembre 1943)

Calogero Boccadutri

Calogero Boccadutri. Nato a Favara il 22 luglio 1907, morto a Caltanissetta il 17 luglio 1992. All’età di sette anni rimane orfano del padre, piccolo imprenditore che con i carretti trasporta merci e zolfo da e per la stazione di Aragona Caldara.
La circostanza alimenta una serie di rovesci familiari che !o costringono, unico maschio della famiglia, a lasciare la scuola per il lavoro: prima in miniera e poi nella costruzione di tratte ferroviarie. A diciassette anni, preso nel vortice dell’ambiente turbolento di Favara, viene coinvolto in un furto e preso in una delle retate del prefetto Mori. Sconta oltre sette anni di carcere duro. Da San Gimignano a Civitavecchia.
ln carcere matura la sua scelta di vita quando incontra i comunisti e tra questi Terracini che ne parlerà come di un comunista sobrio, attento e disciplinato. Aderisce al partito Comunista clandestino con il nome di Luzio q quando esce dal carcere nel ’31, prende i contatti con Salvatore (Totò) Di Benedetto componente del Centro lnterno del Partito a Milano. Costituisce le prime cellule a Favara e nella provincia di Agrigento.
ll Partito gli ‘chiede di trasferirsi a Caltanissetta per organizzare la rete clandestina in quella provincia dove si trasferisce tra molte difficoltà nel ’32. A Caltanissetta si collega dapprima con Pompeo Colajanni e Nicola Piave, figure note ai fascisti e fortemente controllati. Con le cellule comuniste clandestine, costituite nelle province di Caltanissetta e Agrigento, e la diffusione di documenti del Partito tesse una fitta rete composta da centinaia di compagni che alimentano l’attività antifascista: contadini, minatori, impiegati, studenti, e tra questi Emanuele Macaluso che lo seguirà sempre nei suoi itinerari, e, poi, Gaetano Costa, Gino Cortese, Leonardo Sciascia, il quale lo ricorderà sempre con sentimenti di amicizia e ne scriverà in alcuni scritti.
Mentre svolge il lavoro di copertura tra miniere e imprese di costruzioni stradali, tiene i collegamenti del centro della Sicilia con il Centro lnterno del Partito di Milano e con compagni di Reggio Calabria e Messina. Mantiene i rapporti con i compagni di Palermo, di Catania, di ira-pani, Siracusa e Ragusa, tiene i collegamenti con i socialisti e con Giuseppe Alessi dei popolari di Caltanissetta e con gli antifascisti Guarino Amella e Pasqualino Vassallo. Nel giugno del ’43 incontra Elio Vittorini nel suo viaggio politico in Sicilia e in quell’incontro si stabiliscono le iniziative per abbattere il regime nazifascista e dare vita ad un governo popolare e democratico. Vittorini si informerà continuamente di Boccadutri e ricordera sempre con commozione e affetto il suo incontro con “Luzio”.
Lo sbarco degli americani nel luglio del ’43 lo coglie mentre, dopo il convegno dei comunisti a Lentini, e diretto a Ravanusa per stampare I’appello insurrezionale di Lentini. Non potendo rientrare a Caltanissetta si dirige, a piedi, a Favara, il suo paese, e lì organizza il governo della città che accoglie gli americani, proponendo come Sindaco Salvatore Amicò, valente artigiano favarese e figura esemplare di correttezza ed onestà. Nel frattempo impegnando la rete delle cellule del Partito organizza l’approvvigionamento alimentare di Favara che era rimasta senza.
Quando gli americani, con un pretesto, destituiscono il Sindaco Amico, organizza insieme ai compagni una manifestazione così imponente e determinata da costringere il comando americano a riconsegnare il governo del paese nelle mani del Sindaco Amico. Rientrato a Caltanissetta dopo qualche’ giorno, viene arrestato dagli americani e portato prima ad Agrigento e poi a Palermo all’Ucciardone.

13697089_834026603365389_4266455105309405248_n

Leonardo Speziale. Nato a Serradifalco (Caltanissetta) il 4 settembre 1903, morto a Gela (Caltanissetta) il 20 aprile 1979, operaio e dirigente politico sindacale. Comunista, Speziale era emigrato, nel 1930, in Francia. Nel 1939 era stato attivo nell’Unione Popolare Italiana che si era costituita in quel Paese. Durante l’occupazione tedesca, l’operaio italiano era entrato nella Resistenza francese, operando a Saint-Etienne e poi nel Sud della Francia. Arrestato nel luglio del 1943, fu condannato ad una lunga pena detentiva, ma fu presto consegnato alle autorità italiane che lo rinchiusero nel carcere di Fossano. All’indomani dell’armistizio, Speziale, riuscito a fuggire, si trasferì a Brescia, su indicazione del PCI. Nella città lombarda fu tra gli organizzatori della lotta armata contro il nazifascismo, costituendovi i primi gruppi di gappisti. Nel dicembre del 1943, il militante comunista siciliano cadde, ferito, nelle mani della polizia fascista. Sottoposto a tortura, Speziale non solo seppe resistere ma, otto mesi dopo, riuscì ad evadere. Raggiunta la Val Trompia, contribuì alla formazione della 122a Brigata Garibaldi, della quale divenne commissario politico. Fu poi, sino alla Liberazione, ispettore delle Brigate Garibaldi nel Veneto. Finita la guerra e rientrato nella sua Sicilia, Leonardo Speziale fu protagonista e dirigente delle lotte politiche e sindacali, condotte dal movimento democratico per il progresso civile, culturale e sociale dell’Isola.

FAZIO Manlio (Caltanissetta – Classe 1922 – Partigiano combattente – Alla memoria)
Partigiano combattente nelle valli a nord di Torino con la 11^ Brigata Garibaldi.
Encomio: «Sensibile al richiamo della Patria oppressa, fin dal settembre 1943, scelse la via dell’onore e del sacrificio entrando a far parte delle prime formazioni partigiane. Assegnato a compiti sanitari perchè studente di medicina, si disimpegnò distinguendosi sempre per perizia e spirito di sacrificio. Assunto il comando di un distaccamento partigiano, durante un forte rastrellamento operato da preponderanti forze avversarie, riuscì a sottrarsi alla stretta nemica ed a porre in salvo i compagni di fede. Con pronta iniziativa accorse in aiuto di altro distaccamento partigiano duramente impegnato e dopo parecchie ore di cruenta lotta riuscì ad evitarne il sicuro annientamento. Ricevuto l’ordine di ripiegare in territorio francese, abbandonò la sua posizione solo dopo aver predisposto ed effettuato il trasporto di tutti i partigiani feriti affidati alle sue cure. Spossato dalle fatiche e dagli stenti, immolò in terra straniera la sua giovane pura esistenza col nome della Patria adorata sulle labbra. Fulgido esempio di patriottismo e di completa dedizione alla causa della libertà».
(VallI di Lanzo (To), 15 settembre/4 ottobre 1944).>>

57908917_842058266158948_4173160661980807168_o

Capitano di complemento Gaetano MANCUSO, nato a San Cataldo il 05.01.1904.
Arruolatosi giovanissimo all’Artiglieria a Cavallo e corsista nella scuola ufficiali di Modena.
Si sposa in data 22.05.1943 con Elsa Ascari di Carpi (Mo). Al rientro del viaggio di nozze è richiamato per partecipare con il 1290° Regimento di Fanteria della Divisione “Perugia” alle operazioni militari nella regione del Kosovo in Albania.
La Divisione “Perugia”, comandata dal Generale Ernesto Chiminello, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e sino al 5 ottobre 1943, si sottopose a marce forzate nel tentativo di raggiungere e difendere i porti di imbarco di volta in volta indicati dal nostro Comando supremo. La marcia verso il mare, contrassegnata da continui scontri con i tedeschi, si concluse tragicamente a Porto Edda (l’odierna Sarandë Albania), dove il Generale Chiminello, catturato con molti suoi uomini, venne fucilato.
Analoga sorte toccò ai suoi ufficiali e sottufficiali tra essi il Capitano Gaetano Mancuso, che si erano opposti alle forze naziste: il 5 ottobre 1943, 120 di loro vennero mitragliati dai tedeschi, i loro corpi cosparsi di benzina e poi incendiati, prima di essere buttati in mare.
L’onorificenza della Medaglia d’Argento al Valore Militare, è stata consegnata alla vedova Sig.ra Ascari Elsa, durante una cerimonia ufficiale nell’agosto 1952.

Pasquale Sorce, figlio di Vincenzo Sorce e Maria Bonfante, nasce a Mussomeli (CL) il 10 maggio 1917. Di professione barbiere, presta servizio militare tra Novara e Livorno quando scoppia la guerra, quindi combatte nei Balcani e in Francia.
Tra l’8 e l’11 settembre divenuto Sergente maggiore “coadiuvava il proprio comando a trarre in salvo lo stendardo del Reggimento dalle mani tedesche”. In quell’occasione venne catturato dai tedeschi e rischiando di essere scoperto e giustiziato riuscì a far evadere i soldati italiani imprigionati.
Il 12 luglio 1944 si presenta al fronte clandestino di Resistenza, viene iscritto alla formazione partigiana della 3ª divisione Garibaldi “Pajetta”, 82esima brigata “Osella”. Conosciuto con il nome di battaglia “Gino”, prende parte a tutta la campagna di Liberazione, “dando costanti prove di valore personale e di capacità professionale e di elette qualità di comandante”.
Viene insignito della medaglia di bronzo al valore militare.
Il 24 agosto 1946 il partigiano Gino sposa Carla Barbagliani. Un anno dopo, il 25 agosto 1947, nasce la loro figlia Mariella.

fonte: Archivio Esercito Italiano.

94247430_2654566571485644_6705579293595926528_n

Giovanni Minnella, figlio di Salvatore Minnella e Salvatrice Mantione, nasce a Mussomeli (CL), nel 1920.
Gli è stata riconosciuta la qualifica di “partigiano combattente” (Brigata Val Tanaro, Piemonte) per aver contribuito alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, nel periodo compreso tra maggio del ’44 e giugno del ’45.